Traccia sanguinosa. Cinque più grandi crimini del regime sovietico nei confronti della popolazione pacifica ucraina durante la Seconda guerra mondiale

L’attività del governo sovietico sia prima della Seconda guerra mondiale, sia durante il suo svolgimento è stata segnata da una serie di azioni violente contro la popolazione civile. Spesso i ricordi dei crimini dei bolscevichi del 1939-1941 vengono sovrapposti dai flussi dei discorsi vittoriosi riguardo alla “Vittoria del popolo sovietico nella Grande guerra patriotica”. Tyzhden.ua ha raccolto i fatti riguardanti i crimini più eclatanti di quell’epoca.

LE UCCISIONI DI MASSA DEI DETENUTI NEI CARCERI

L’offensiva rapida dei tedeschi d’estate del 1941 ha suscitato il panico praticamente tra tutti gli organi del governo dell’URSS, i quali solitamente per primi fuggivano dalle città, temendo la vendetta del popolo più che dei nazisti. Tuttavia, NKVD, l’organo punitivo principale dello stato bolscevico, non smetteva di effettuare le sue funzioni terribili neanche nelle condizioni della ritirata caotica. Quando le truppe sovietiche si ritiravano dalle città dell’Ucraina Occidentale, loro spesso abbandonavano i beni, le attrezzatture e persino i documenti dei membri del partito. Però sempre facevano in tempo di uccidere tutti i prigionieri, i quali in quel periodo per la loro sfortuna si trovavano nei carceri. Senza alcuna sentenza e criterio le squadre di liquidazione giustiziavano tutti, persino i sospettati e fermati per caso, spesso lo facevano dopo le orribili torture. L’episodio più famoso fu la fucilazione a Lviv, dove in tre carceri, secondo le testimonianze del capo del reparto carcerario di NKVD nella regione di Lviv, tenente Lerman, furono fucilati 924 persone. Aggiungiamo: allo stesso modo i comunisti cercavano di agire anche in Bielorussia e nei paesi Baltici, ma lì una grande parte dei carcerati furono salvati dall’offensiva ancora più rapida di Wermacht.

Vittime di NKVD a Lviv, giugno 1941

In totale nell’Ucraina Occidentale in pochi giorni del giugno furono uccisi più di 5 mila persone in diversi carceri. Ma ci furono alcuni episodi al di fuori del bene e del male. Non possiamo dimenticare la terribile tragedia di Zalishchyky nella regione di Ternopil, quando NKVD arse due treni con i carcerati a bordo (14 carrozze, ognuna delle quali conteneva 50-70 persone), e poi lì gettarono nell’acqua, perché le truppe sovietiche arretrando distrussero il ponte ferroviario sul Dnister.

Squadra di fucilazione di NKVD

OCCULTAMENTO DEL PERICOLO PER LA POPOLAZIONE EBRAICA NEI PRIMI MESI DI GUERRA

Il governo sovietico cercava di combattere il panico durante il Blitzkrieg tedesco con soli due metodi che conosceva: fucilazioni e occultamento. Uno dei più grandi crimini dei comunisti fu di nascondere totalmente agli ebrei i fatti del genocidio contro di loro da parte dei tedeschi nelle prime città dell’Ucraina Occidentale, occupate dal Terzo Reich. La maggioranza della popolazione ebraica non fu assolutamente al corrente delle intenzioni dei nazisti nei loro confronti. Non fu preparata un’evacuazione centralizzata delle popolazioni in pericolo di vita.

Fino ad oggi non è stato scoperto alcun documento, alcuna testimonianza, i quali dimostrerebbero, che il governo sovietico almeno cercava di trovare le vie di salvataggio dei propri cittadini condannati non a una vita difficile, senza gioia e cibo, però  comunque una vita, ma una morte imminente e violenta. In più, nei primi giorni, decisivi per il destino della popolazione ebraica delle regioni occidentali, lungo il cosiddetto confine vecchio (polacco-sovietico del 1939) funzionavano ancora i posti di blocco, dove fermavano chiunque non avesse il permesso speciale. La propaganda sovietica fino a metà agosto del 1941 non accennava proprio delle fucilazioni di massa della popolazione ebraica. E quando iniziò a riconoscerle, le presentava sotto la salsa diversa di quella reale: veniva raccontato, che i nazisti giustiziavano gli attivisti comunisti e di komsomol.

Foto scattate durante le fucilazioni di massa a Babyn Yar, Kyiv

Una delle terribili testimonianze, che dimostrano tale crimine dei bolscevichi fu l’arrivo assolutamente volontario il 27 settembre del 1941 al Babyn Yar di praticamente tutta la popolazione ebraica di Kyiv, la quale non aspettando nulla di male, si presentò alla prima chiamata dell’occupante. Di un milione e mezzo di ebrei, rimasti sul territorio dell’Ucraina occupato dai tedeschi praticamente nessuno sopravvisse.

DISTRUZIONE DELLA DIGA DI DNIPROHES A ZAPORIZHZHIA

Dai primi mesi della guerra, durante il ritiro il governo sovietico cercava di applicare la tattica della “terra bruciata”, cioè veniva distrutta tutta l’infrastruttura senza curarsi della futura sorte della popolazione, non riuscita ad evacuare. Uno degli eventi più terrificanti di questa tattica fu il minare della diga della stazione idroelettrica di Dnipro a Zaporizhzhia. Il 18 agosto del 1941, verso le ore 20.00 dopo l’irruzione delle truppe tedesche in questa zona, gli agenti di NKVD fecero saltare in aria la diga.

In seguito all’esplosione di 20 tonnellate di TNT si creò una voragine lunga 150 m, dalla quale si è riversata un’onda d’acqua alta diversi metri, distruggendo le costruzioni e uccidendo le persone, che si trovavano nella zona della riva. Sotto colpo dell’onda capitarono meno soldati tedeschi e più soldati sovietici, i quali tentavano di raggiungere il lato sinistro del Dnipro, e i civili dell’isola di Khortytsia e dei territori circostanti. Il comando tedesco affermava di aver perso 1500 propri combattenti. Mentre tra i soldati sovietici e i civili sono morti da 20 mila a 80-120 mila persone. Fino ad oggi non abbiamo i dati certi.

“CHORNOPIDZHACHNYKY” – GIACCHE NERE

In autunno del 1943, quando dopo la vittoria nella battaglia di Kursk le truppe sovietiche entrarono sul territorio dell’Ucraina, il comando bolscevico trattava la popolazione locale, la quale visse due anni nell’occupazione, per usare un eufemismo con poca fiducia. Dicevano, che tutti loro, soprattutto gli uomini erano i potenziali traditori e i collaborazionisti. Perciò, secondo la logica dei capi di Cremlino, queste persone dovevano “lavare con il proprio sangue” il loro “crimine”. Quando le truppe sovietiche entravano in un centro abitato appena liberato dai nazisti, con loro entrava anche l’ufficio di reclutamento da campo. L’ufficio di reclutamento svolgeva la mobilitazione totale di tutti i maschi, che potevano tenere tra le mani un’arma.

Dopodiché questi maschi furono subito spediti all’attacco contro le postazioni tedesche, spesso non erano muniti di divisa: in questo modo è apparso il termine “chornopidzhachnyky-giacche nere” oppure “chornosvytnyky – camice nere”. Queste persone spesso non avevano neanche le armi, gli dicevano di conquistare le armi combattendo il nemico! I contadini hanno coperto con i propri cadaveri la via di passaggio alle truppe regolari. L’assalto di Kyiv a ottobre del 1943 fu uno dei episodi più spaventosi, quando il comando sovietico spedì le decine di migliaia delle “camice nere” alla piazza d’armi di Velykyi Bukryn a sud dalla capitale ucraina, allo scopo di distrare le forze tedesche, mentre le unità regolari si trasferivano a nord dalla città, utilizzando la piazza d’armi di Liutizh. Su un pezzo di terra lungo 6 km caddero più di 250 mila soldati, una grande parte dei quali fu composta dai contadini appena mobilitati, senza divisa militare.

DEPORTAZIONE DELLE POPOLAZIONI CIVILI

Interi popoli furono considerati da Cremlino come “traditori”, i quali devono come minimo essere trasferiti dalle loro terre per un’ulteriore assimilazione e per annientare il potenziale di ribellione. Tutto ebbe inizio nel 1941 quando i tedeschi delle zone marine di Azov furono deportati dietro il fiume Volga. Però il vero motore di deportazione iniziò a funzionare alla fine di guerra, quando il comando di Cremlino accusò di collaborazionismo diverse etnie. Uno degli esempi più conosciuti di questa pratica è la deportazione dei tatari di Crimea.

Dalla Crimea ripulita dai tedeschi, il governo sovietico in primavera-estate del 1944 deportò praticamente tutta la popolazione autoctona, in particolare 180 mila dei tatari di Crimea, fino all’Asia Centrale Sovietica. Più tardi, durante la seconda ondata di deportazione furono esiliati gli armeni di Crimea, i bulgari e i greci. L’etnia titolare, gli ucraini, subì diverse ondate di deportazione, le prime due furono effettuate ancora prima della guerra. Mentre, durante il 1945-1947 più di 80 mila abitanti dell’Ucraina Occidentale furono deportati al Donbas o in Siberia, in seguito alle accuse di nazionalismo e il “collaborazionismo con UPA” /Esercito Insurrezionale ucraino/.

Altre 500 mila persone furono deportate dai territorio dell’Ucraina Occidentale, i quali secondo la decisione di Stalin furono consegnati alla Polonia.

Fonte: https://tyzhden.ua/History/135437

Traduzione di Dana Kuchmash