Testimonianze della mia famiglia sull'Holodomor
Questa è la testimonianza della mia bisnonna che è sopravvissuta a tutti e tre Holodomor del 1921-1922, del 1932-1933 e del 1946-1947.
All’epoca del secondo Holodomor mia bisnonna aveva già 2 figli, il figlio maggiore Petro era nato nel 1926 e unica sua figlia femmina Maria (mia nonna) nel 1928.
Faccio una piccola premessa, la mia famiglia prima dell'invasione bolscevica era ricca, a noi appartenevano i vasti terreni che i miei antenati coltivavano da secoli. In quella zona le famiglie come la mia ce n'erano tante, si sa che a quell’epoca chi lavorava viveva bene. Dopo l'invasione alla mia famiglia fu sequestrato tutto, la fattoria fu eliminata dalla faccia della terra e sul territorio di essa il nuovo governo costruì una parte del villaggio. Come da buona tradizione bolscevica tutti beni sequestrati dai “ricchi” (kulaki o kurkuli come li chiamavano) vennero distribuiti tra i “poveri”, e questi “poveri” furono messi a governare i villaggi nuovi. Chi furono questi “poveri”? Io prendo l’esempio del villaggio della mia famiglia, i nuovi governatori furono i rappresentanti di poche famiglie, le quali prima del 1920 non avevano né casa né terreni per un semplice motivo – tutti furono o pigri oppure dei semplici ubriaconi, o anche pigri e ubriaconi contemporaneamente, la gente che non ebbe mai la dignità e la nobiltà dentro l’anima. La gente "giusta" per far rigare dritto dei vecchi kurkuli!
E fu proprio questa gente tra gli esecutori materiali dell’Holodomor. Uno di loro entrò in casa della mia bisnonna in autunno del 1932 con gli scagnozzi di NKVD (armati fino ai denti) e dopo aver portato via tutto quello che era commestibile, ebbe un’idea brillante di distruggere il forno, perché dietro il forno i contadini nascondevano il cibo. Ed infatti mia bisnonna nascose un sacchetto di 2 etti di fagioli, furono inutili le suppliche della mia povera bisnonna e fu inutile il pianto disperato dei suoi piccoli figli, il bastardo ubriacone, che non ha mai lavorato nella vita sua, portò via anche quel sacchettino di 2 etti di fagioli senza un minimo di rimorso.
Per sopravvivere i miei familiari d’inverno andavano nei campi, scavavano con le mani la terra congelata e tiravano fuori le patate marce della raccolta precedente, avevano tanta fame che nemmeno le portavano a casa per cucinare, mangiavano proprio lì sul campo le patate marce e crude! In primavera trovare il cibo era un po’ più facile perché si mangiavano le foglie degli alberi, l’erba e gli insetti, gli animali non c’erano più, li hanno mangiati tutti ancora in autunno.
Il bastardo ubriacone fu premiato dal governo per l'impegno ben svolto e la mia famiglia come tantissime altre hanno vissuto per decenni con la paura di dover rivivere l’esperienza dei tre Holodomor.
La mentalità di mia nonna era cambiata completamente. Sebbene avesse avuto solo 5 anni durante il secondo Holodomor del 1932-1933, durante il terzo Holodomor del 1946-47 lei prese il suo figlio maggiore, perciò il ricordo di fame fu radicato profondamente nella sua mente. Negli anni 50 i mei nonni costruirono un seminterrato, nascosto in un garage dove era possibile accedervi da una botola mascherata. Io ci sono entrata agli inizi degli anni 2000, e non potevo credere ai miei occhi vedendo la grandezza del locale e la quantità di conserve stipate: conserve di carne, di verdure e frutta, le marmellate varie. Secondo me, con tutto quel ben di Dio una famiglia potrebbe tirar avanti per anni. Invece la nonna, dopo aver subito lo shock di due Holodomor era convinta che i viveri conservati nello scantinato non bastassero, e continuava a produrre le file dei barattoli delle conserve varie ogni estate, sembrava un comportamento compulsivo provocato dalla paura di rimanere senza i viveri. Credo che mia nonna non sia stata l’unica in questo comportamento. E solo quest’estate, dopo più di 60 anni di accumulo compulsivo del cibo in conserva lei si è resa conto che in effetti la quantità è enorme.
La mia bisnonna è deceduta nel 1988, e per tutta la sua vita poté parlare della sua esperienza vissuta durante gli Holodomor solo a bassa voce e solo con i propri parenti, mi dispiace tanto che lei non visse abbastanza da poter condividere i suoi ricordi con me, avrei tante domande da farle riguardo alla storia della nostra famiglia, ma purtroppo questi ricordi sono stati sepolti insieme alla mia bisnonna. Perciò, pensando ai tempi sovietici, quando i nostri bisnonni e nonni vivevano nella paura di raccontare qualcosa di “scomodo”, io apprezzo ancora di più i tempi nostri, quando noi possiamo esprimerci liberamente e tramandare i ricordi nostri e delle nostre famiglie alle future generazioni.
Dana Kuchmash