Soldato volontario Valeriy Marianets: “Non mi farò catturare per una seconda volta, preferisco la morte”

07/03/2015

Io sono un semplice soldato. Sono nato in Transcarpazia, ma abito a Kyiv già da 20 anni. Prima dell’inizio della guerra io ho lavorato a “Epitsentr”, come commesso. Quando è iniziata l’occupazione della Crimea, mi sono rivolto all’ufficio di reclutamento, loro mi hanno registrato e hanno detto: “Attenda, La chiameremo”. Io ho atteso per circa 3 mesi, e a giugno sono andato ad arruolarmi nella Guardia Nazionale, tuttavia alla fine sono finito nel battaglione “Donbas”.

Capivo perfettamente, che andavo in guerra. Tutti arruolati hanno paura, ma dopo ci si abitua alle esplosioni e spari. Quello che ricordo meglio è il momento di una stanchezza molto forte, quando per la seconda volta entravamo a Ilovaisk, il 18-19 agosto, allora tenevamo la metà della città, l’altra metà era presidiata dai separy /separatisti/. Dovevamo attraversare la ferrovia, mentre loro hanno collocato le postazioni per le mitragliatrici, così noi, come i veri suicidi, siamo andati al ponte pedonale sopra la ferrovia, perché dovevamo andare avanti. Noi eravamo 70 uomini. Gli abitanti locali ci hanno detto che davanti a noi c’era un plotone dei ceceni, di circa 30 uomini, ma una quantità totale dei separy ci era sconosciuta.

Noi abbiamo condotto un combattimento molto lungo e molto intenso, di circa 4-5 ore senza una pausa. Gli “afgani”, che c’erano con noi, dicevano, che durante la guerra di Afghanistan non hanno mai visto i combattimenti simili.

Il nemico ha iniziato ad accerchiarci, noi invece a retrocedere, dopo abbiamo scoperto che loro erano circa 500-700 uomini, loro avevano due “Nona”, mentre noi avevamo solo i mitra e le mitragliatrici.

2S9 "Nona-S", o semplicemente chiamata "Nona"

Mentre tornavamo indietro, dopo aver utilizzato quasi tutto il caricatore e munizioni, non era possibile camminare sul ponte, perché era tempestato dal fuoco intenso. Noi correvamo sotto di esso, e la ferrovia era molto larga. Abbiamo attivato il regime automatico delle nostre armi, e ci muovevamo da un palo all’altro, continuando a sparare, affinché i separy non potessero alzare la testa. Quando correvo, attraversando la strada, sono crollato senza forze. Mi ha avvicinato un’infermiera e ha chiesto se stavo bene. Le ho risposto che era tutto a posto, semplicemente stavo riposando. Alla fine mi sono alzato. Quando abbiamo raggiunto la nostra base, siamo passati dagli abitanti locali, mentre loro cucinavano, e mi è venuta tanta fame. Io ho chiesto da mangiare, con un po’ di sfacciataggine, loro non hanno rifiutato e mi hanno dato da mangiare. In due giorni di combattimenti nei pressi di Ilovaisk io non ho mangiato quasi nulla. Perché il primo giorno, il 18 agosto, noi siamo entrati nel villaggio Hrabs’ke, e lì c’era una montagna di separy morti, l’aria era piena di puzza di decomposizione, era impossibile mangiare. Mentre il secondo giorno siamo andati all’attacco, perciò non c’era più tempo per mangiare.

Ilovaisk, Mnohopillia e Hrabs’ke – era un triangolo, il quale noi tenevamo da tutti i lati. Poi ci hanno detto che ci daranno la possibilità di uscire passando per un corridoio, attraverso Krasnosils’ke, dovevamo raggiungere Starobeshevo, però appena siamo partiti il nemico ha aperto il fuoco e ha iniziato a fucilarci. I nostri ragazzi per me sono le persone molto care, ma c’è uno, che io posso chiamare il padre, lui mi ha salvato la vita. Noi siamo partiti con una Renault, quando è iniziato il fuoco, noi siamo saltati fuori dalla macchina e rispondevamo al fuoco. Ad un tratto si è fermato un portavalori blindato, e i ragazzi che ne erano a bordo ci hanno prelevato per portarci con loro. Subito le pallottole hanno iniziato a colpire la macchina, perforando la blindatura. Una delle pallottole mi ha colpito alla tempia. Pensavo, non ci fosse nulla e la pallottola è voltata via, in realtà è volata via la parte interna del proiettile, mentre il bossolo si è conficcato nell’osso ed è rimasto lì fino al giorno in cui sono finito all’ospedale di Kyiv. La tempia subito si è gonfiata, il sangue fuoriusciva, ma io avevo pensato che si trattava di un graffio niente di più. La macchina si è fermata e uno dei soldati, che si chiamava Shaman, ha iniziato a tirarci fuori tutti quanti, noi eravamo 4 uomini. Appena ha finito di tirarci fuori, i russi hanno colpito la nostra macchina da un carro armato. Questo Shaman, si può dire che mi ha salvato la vita.

Dopo tutto uno dei combattenti, con il soprannome Poltava, ha proposto di raggiungere la prima casa del villaggio. Quando noi, rispondendo al fuoco, siamo saliti in un autobus e abbiamo raggiunto quella casa, i russi hanno dichiarato la tregua e sembrava che avessero finito di sparare, tuttavia un carro armato girava ancora, effettuando i colpi. Questo tank ha centro un autobus con le munizioni a bordo, al quale si era appena avvicinato Poltava. Lui è morto. I suoi parenti fino ad ora non vogliono credere, che lui non c’è più.

A Krasnosilske siamo riusciti e tenere le nostre posizioni per 36 ore. Speravamo, che arrivassero i rinforzi, che ci aiutassero a ripiegare, chiedevamo all’artiglieria di bombardare il nemico, abbiamo fornito anche le coordinate, loro, invece, ci rispondevano, che non avevano un ordine di aprire il fuoco. Noi abbiamo bruciato tanti mezzi da combattimento russi, abbiamo catturato 3 veicoli trasporto truppe BMD e un carro armato, ma avevamo troppi feriti, perciò non potevamo muoverci liberamente. Poi alcuni ragazzi dagli altri battaglioni, hanno iniziato ad arrendersi al nemico. Oltre a noi, c’erano i ragazzi dallo spetsnaz di Kirovohrad e 15 uomini di ricognitori. Ci hanno raggiunto da Savur Mohyla, hanno fatto tutta quella strada a piedi combattendo.

I russi hanno detto di consegnare a loro i nostri feriti gravi, e che loro li consegnavano alla Croce Rossa. Noi l’abbiamo fatto, ma poi loro ci hanno avvisati, se noi non ci arrendessimo, loro cominciavano a fucilare i nostri feriti. Così, abbiamo dovuto arrenderci a loro. Inoltre, ci hanno promesso, anzi ci hanno dato la parole di un ufficiale, che non ci consegneranno ai separy, ma questa promessa non è stata rispettata.  

Noi eravamo esauriti e affamati. Ci hanno portato a 10 km da Krasnosilske, dove ci hanno tenuto in mezzo ad un campo. Noi raccoglievamo le pannocchie di mais e le mangiavamo. I nemici ci hanno controllato le vene, pensavano che fossimo drogati e ci chiedevano che cosa abbiamo preso per andare all’attacco. Ci dicevano: “non avete la testa? È assurdo, che 70 uomini con i mitra vanno ad assaltare la città”.

Eravamo pronti ad accettare la morte, abbiamo detto addio a tutti i cari al telefono. Ho telefonato alla mia moglie e le ho detto, che probabilmente non mi vedrà mai più. Quando i nemici consegnavano i feriti, ho chiesto a uno dei ragazzi di portare alla mia mamma i miei oggetti personali, se ci uccideranno.

All’inizio tutti sono stati portati a Donetsk, in totale eravamo 110 uomini. Alcuni sono stati tenuti al secondo piano del palazzo di SBU, mentre il nostro battaglione tenevano in cantina. Noi continuavamo a credere che ci scambiassero oppure liberassero. Nessuno si arrendeva. Quando è stato effettuato il primo scambio, noi siamo rimasti circa 90 uomini. Dopo un mese e mezzo 70 ragazzi sono stati spediti a Ilovaisk per ricostruire la città. Nel battaglione c’era la gente con le professioni edili. Abbiamo riparato i tetti, cambiato i vetri delle finestre, chiuso vari buchi, rimasti dopo i combattimenti.

Gli abitanti locali ci hanno aiutato, chi con i generi alimentari, chi con gli indumenti e scarpe. Quasi ogni giorni sui pali della città apparivano le bandiere giallo-blu, o quelle rosso-nere. I separy li coprivano con la vernice, e la gente disegnava le nuove bandiere. Siccome tra i locali c’erano i partigiani, allora spesso sentivamo gli spari in città. Là ho visto una grossa recinzione di cemento, sulla quale c’era una grossa scritta “l’Ucraina è Donbas”. Nessuno ormai le dava peso, il nemico ha lasciato perdere. C’era un caso, quando durante un matrimonio i giovani hanno bevuto e hanno iniziato a gridare “Slava Ukraini” in mezzo la strada.

Però, capitava anche il contrario, quando gli abitanti locali ci gridavano: “Che cosa siete venuti a fare qua?” Noi, come i prigionieri, non avevamo diritto di rispondere, ma io avendo perso la pazienza mi sono girato e ho detto: “Dove siamo venuti? Siamo venuti sulla nostra terra, siamo nel nostro paese”.

  • Allora, nel vostro paese siete prigionieri?
  • Si vede di sì, - ho risposto.

Ma poi, questa gente uno a uno mi avvicinavano e dicevano: “Siamo per voi!”

Mentre, quando sono tutti insieme sono tutti per “DNR” e Russia.

Loro hanno paura uno dell’atro. Perché possono esserci delle spie tra di loro, come nei vecchi tempi sovietici. Rischiano di essere rinchiusi in carcere per il sostegno agli ucraini e per la propaganda.

Gli abitanti locali sanno, che Ilovaisk è stata distrutta dalla Russia, e non da noi con i mitra. E sono davvero per noi, ma quando sono insieme sono per la Russia.

Noi abitavamo nel distretto di polizia, il palazzo era tutto bruciato, abbiamo portato dentro le scatole vuote delle munizioni, di sopra abbiamo messo il truciolato e abbiamo fatto in questo modo i letti. Qualche generi alimentari all’inizio ci portavano i separy, poi i nostri volontari in qualche modo si sono messi d’accordo e ci passavano il mangiare. Per due mesi e mezzo io ci sono stato a Ilovaisk e un mese e mezzo al palazzo di SBU di Donetsk. Ho trovato i libri là, che hanno semplicemente buttato nella pattumiera. Sto studiando alla facoltà di giurisprudenza dell’Academia Nazionale di Management, perciò ho letto tanti libri del diritto, si può dire che mi sono occupato di autoistruzione. Ho trovato un libro dedicato all’Holodomor. Insomma, tutti i libri che ho trovato lì, ho portato a casa con me.

Mentre ero prigioniere mi sono ammalato di broncopolmonite, dove avevo la pallottola conficcata si è creato un bombolone dolorante, vicino all’occhio sinistro avevo 2 schegge, una grande sono riuscito a tirare fuori con le mani, mentre quella piccola si è cicatrizzata dentro la pelle.

Quando ero già a Kyiv mi sono rivolto ai medici, loro hanno tagliato e hanno tirato fuori il bossolo della pallottola, e anche quella piccola scheggia vicino all’occhio è stata tirata fuori.

Siamo stati liberati per via di uno scambio: 150 di nostri uomini sono stati scambiati con 225 separy. Tutti quanti eravamo divisi in gruppi da 10 uomini ciascuno. Quando sono sceso dalla macchina e ho visto la nostra bandiera, ho pensato che fosse lo scherzo. Mi avvicino ai ragazzi e dico: “Slava Ukraini!” e loro mi fanno “Heroiam Slava!”. Ho chiesto a uno il telefono per poter chiamare i miei cari, e solo quando ho visto lui tira fuori il telefono e darlo a me, ho capito che erano davvero i nostri. Il nemico tiene come prigionieri anche i volontari solo perché loro aiutano gli ucraini. Io non ci tornerei mai più in prigionia, mi farei saltare in aria, non mi è piaciuto per nulla.

(Valeriy ha rifiutato di raccontare più dettagliatamente della sua lunga prigionia, temendo per le vite dei suoi amici del battaglione “Donbas”, che non sono stati ancora liberati, - Redazione di Censor.net)

Quando ci hanno portati a Petrivtsi per la visita medica, un dottore mi ha detto, che la mia broncopolmonite non è stata guarita del tutto. Ma quando mi hanno esaminato all’ospedale centrale del Ministero degli interni hanno scoperto che si trattava della bronchite acuta. Quando mi dimettono, io parto subito da mia mamma, perché lei non sapeva che ero andato in guerra finché non mi ha visto in tv. E dopo aver visto la mamma riparto per il fronte.

La cosa che mi ha impressionato in guerra sono gli uomini, gli ufficiali che piangono. Non ho mai visto prima una cosa simile. Mentre a Pisky ho dovuto osservare queste scene. È successo a luglio. Eravamo pochi del battaglione “Donbas”, dovevamo irrompere l’accerchiamento di fronte all’aeroporto di Donetsk. Allora i nostri hanno liberato questo villaggio.

Dopo i combattimenti ho visto un colonnello in lacrime sopra i corpi senza vita dei suoi ragazzi. Non lo dimenticherò mai.

Io vorrei avere una vita tranquilla, da qualche parte in Transcarpazia, ad esempio. Adoro andare a raccogliere i funghi. Però per poter godere la pace, bisogna finire la guerra, dobbiamo sconfiggere l’aggressore. Sono diventato più buono nei confronti della gente, amo molto gli ucraini. Quando mi hanno fornito la divisa, era troppo grande per me e quindi scomoda. Sono andato in un negozio, ho visto i prezzi e ho capito che non ho lo stipendio adatto per poter comprarla. Così, mi sono rivolto ai ragazzi, loro mi hanno vestito e mi hanno comprato le scarpe. Ecco, così sono i nostri ucraini.

Fonte: https://censor.net.ua/resonance/322796/dobrovolets_valeryi_maryanets_u_polon_ya_vdruge_ne_zdamsya_krasche_pdrvu_sebe

Intervista di Vika Yasyns’ka del 7 marzo 2015

Traduzione di Dana Kuchmash