Sashko, il combattente della 79° brigata: “Là, al fronte, non hai paura. Ho paura qui. Quando non sono al fronte, mi sento come se fossi in un altro paese”

Intervista del 6 settembre del 2014

Noi ci siamo incontrati vicino alla stazione ferroviaria. Sashko ritorna al fronte dall’ospedale. Doveva partire ieri, ma andava così di fretta che si è slogato la caviglia. I medici gli hanno riparato la caviglia ed ecco noi parliamo nelle caffetteria della stazione. Quando da fuori arriva un fischio strano, lui cambia faccia, diventa più teso. Poi spiega: “è molto difficile abituarsi di nuovo ai suoni improvvisi. Sembra, che dalle finestre possano cominciare a sparare. Un altro problema è viaggiare con la marshrutka /pullmino/ attraverso le zone di bosco, ormai sono abituato, che là si nascondono i terroristi”.

 “Io studiavo a Kharkiv, all’Accademia di giurisprudenza di Yaroslav il Saggio. Abitavo in una camera con i ragazzi, i figli degli alti funzionari di polizia. E loro facevano i conti: “ecco, adesso io investo nei miei studi un tot di soldi, e poi guadagnerò di più”. Io chiedevo “come li guadagnerai?”. E loro: “Ma tu non capisci nulla di queste cose, le tangenti e cosi via?”. Gli rispondevo: “non lavori ancora ma già stai pensando alle tangenti.” E lui: “Tanto ti spezzeranno”.

Loro non hanno ancora provato, e si erano già spezzati da soli. A me mi davano molto fastidio questi continui discorsi. Così ho deciso di non presentarmi agli esami.

Quando è iniziata l’annessione della Crimea, io da solo sono andato all’ufficio di reclutamento. Sono capitato nella 79° brigata di Mykolaiv. Mi hanno registrato come addetto al servizio radio. Addetto al servizio radio fa le stesse cose degli altri, però in più trasporta addosso un grosso ricetrasmittente. All’inizio siamo stati in Crimea, e a maggio siamo partiti per il Donbas. Desideravamo molto andarci, mentre nominavano il governo, eleggevano il presidente e così via. Noi capivamo, che bisognava spegnere il fuoco in quel momento.

Eravamo dislocati nel paesino Bohoiavlens’ke. In quel periodo si svolgevano le elezioni presidenziali e per non permettere le votazioni i separatisti hanno rapito la figlia del capo della commissione elettorale. Lei è stata uccisa e le elezioni non sono state svolte. Noi eravamo fermi in questo paesino, capivamo, che loro c’erano lì, che loro commettono i crimini, ma l’ordine di prendere il pesino non c’era.

Poi sono iniziati i combattimenti per i posti di blocco. Sloviansk, Krasnyi Lyman. È stato il nostro battesimo combattivo. La prima reazione era di piegarsi il più possibile, di nascondersi perché da entrambi i lati ci sparavano addosso dai fossi. Sono riuscito a vincere la paura, di liberare la mente dalle emozioni e dal timore.

Importante è superare se stesso, quando riesci a farlo senti solo gli ordini, e non te ne accorgi neanche delle bombe che scoppiano vicino a te. Invece dopo, quando ormai è finito tutto, ricordi tutto e senti le mani che ti tremano e le gambe che cedono.

Nei pressi di Krasnodon per la prima volta ho visto come colpisce “Grad”. Sono andato al campo a ricaricare il telefono, poi quando rientravo alla postazione, mi sono girato e ho visto che il campo veniva colpito da “Grad”. Grazie a Dio, nessuno è rimasto ucciso, alcuni ragazzi sono rimasti feriti, perché il nemico ha mancato un po’ il bersaglio. Dopo questo attacco abbiamo pensato che fossimo condannati. Perché passavano gli incolonnamenti vari, e noi non li toccavamo perché non c’erano gli ordini. Tutto ciò mi faceva stare male. Ho guardato la terra bruciata dai razzi di “Grad” e ho visto che dal terreno stava spuntando l’erbetta fresca, così anche il mio umore e cambiato. Avevo pensato, nonostante tutte le difficoltà, noi resisteremo fino alla fine. Perché quando sono arrivato a Kyiv, ho visto un mucchio di gente, i ragazzi giovani e forti, che bevono tutte le sere e non fanno nulla dalla mattina a sera. Loro “bruciano” le loro vite per niente. Questa generazione ormai è persa. Pensavo, per chi stiamo combattendo? Per questi qui? Ed è una maggioranza. Ma poi ho ricordato i bambini piccoli, loro hanno tutta la vita davanti. Loro devono avere la chance per un futuro normale.

Una volta siamo andati al campo di manutenzione per riparare un autoblindato BTR. Là sono riuscito per la prima volta dopo un paio di mesi di dormire su un materasso dentro la tenda, perché prima dormivo solo nelle trincee e dentro le blindature. A causa dell’umidità ho iniziato ad accusare i problemi alle ginocchia e ai reni. Ciò mi rendeva inutile durante un combattimento. Tuttavia, non ho dormito a lungo dentro una tenda, 3-4 ore dopo il nemico ha iniziato a bombardare con l’artiglieria.

Io sono riuscito a nascondermi dentro la blindatura, un ragazzo non ha fatto in tempo ad uscire dal sacco a pelo, quando le schegge gli hanno tagliato il braccio e hanno ferite le gambe. Siamo stati bombardati per circa 40 minuti. Eravamo nascosti dentro la blindatura e nelle pause tra le esplosioni io sentivo le sue grida, chiedeva l’aiuto. È una sensazione terribile quando tu senti quelle grida e ti rendi conto, che qualcuno necessita il tuo aiuto, ma non puoi aiutare.

Di mattina è uscito il sole, noi ci siamo sdraiati sotto la macchina, aspettando quando riparano il BTR, e abbiamo visto una colonna con i volti famigliari. Poi vediamo, si aprono le portiere e iniziano a scarica i ragazzi feriti. Ovviamente erano i nostri della 79° brigata. Poi è arrivato il “carico 200” /morti/, questo era un incubo per me. I pezzi di carne, che non si potevano essere chiamati i corpi. Ho pensato, che solo ieri io con qualcuno di loro fumavo, scherzavo, parlavo. Avevo visto già in precedenza i cadaveri, ma non conciati così… mi sono sentito talmente male, che non sono riuscito a scaricarli.

Quando siamo stati nei pressi di Dovzhanskyi, ci hanno dato il cibo pronto per tre giorni, però alla fine abbiamo eseguito le manovre per molto più tempo. Abbiamo finito il cibo. La colonna di rifornimento, che era arrivata da noi, è stata distrutta dai colpi, un’altra colonna anche. Noi siamo stati lì per 2 settimane senza mangiare. Prendevamo le spighe di grano e le sfregavamo tra le mani.

Una volta sono arrivate le guardie di frontiera, e noi ci siamo attaccati a loro. Così una volta al giorno potevamo mangiare una mezza tazza di una specie di zuppa, che in realtà era più un liquido con qualche patata o con qualche cereale. Noi lo bevevamo in 5 secondi, per far lavorare un po’ lo stomaco. In quel periodo per la prima volta ho assaggiato la carne di una vipera. Abbiamo dovuto cacciarle per mangiare.

Per andare a prendere l’acqua studiavamo un’intera operazione. Andavamo in macchina, accompagnata dai BTR, perché lì poteva esserci un’imboscata. Questa situazione mi ricordava un canale di Discovery riguardo agli animali. Quando loro vanno al fiume e là li aspettano i coccodrilli. Finivamo delle volte sotto il fuoco. Allora, abbiamo smesso di farci la barba per risparmiare acqua.

Quando organizzavamo il posto di blocco, noi non abbiamo messo né la bandiera né i segni di riconoscimento. Così, una mattina arriva una macchina, e la nostra brigata è russofona. Noi diciamo: “Controllo di documenti e bagaglio”. L’autista fa: “ sì, sì, certo. Come vanno le cose? Salutatemi il vostro ataman e ditegli che verso sera porto gli schiavi”. Noi gli diciamo: “va bene, certamente, ma Lei è in arresto. Siamo le Forze Armate ucraine”. Quest’uomo non si è reso conto dove è capitato.

Nei notiziari delle volte iniziano a piangere: i militari non hanno nulla da mangiare, o qualcos’altro. Io potevo raccontare queste cose solo agli amici. Quando mi chiamavano i genitori, prima dicevo che ero ancora nella regione di Kherson, anche se mi trovavo già al Donbas, per non farli preoccupare. Quando non avevamo nulla da mangiare io dicevo che avevamo qualche problemino con il rifornimento. Piangersi addosso ai genitori non è giusto, loro anche senza questo si preoccupano tanto. Noi siamo gli uomini adulti, dobbiamo risolvere da soli i nostri problemi.

La società oggi è molto nervosa. Credo, che non serva a nulla di peggiorare la situazione, non serve a nulla bloccare le strade, dicendo che non facciamo andare i nostri ragazzi al fronte. Però, se non ci andassero i ragazzi, allora chi lo farebbe?? Noi aspettiamo i rinforzi, mentre le mamme non gli permettono di andare… perché le mamme hanno visto e sentito troppe brutte cose alla tv. La società oggi deve lavorare tranquillamente per la vittoria: senza le manifestazioni, i picchetti, perché tutto ciò si fa appositamente per destabilizzare il paese e provocare un altro Maidan. A causa di tutte queste proteste il paese si dividerà. Però per raggiungere la vittoria noi dobbiamo avere le spalle coperte, e le retrovie sicure.

Nostri ragazzi dicono così: “Guai se mia moglie dovesse andare a quei meeting, le faccio vedere io poi!”. Noi siamo i parà, abbiamo l’onore e dignità, è una vergogna se le mogli chiedono per noi.

Ora sto andando di nuovo all’ATO. Dicono, che i telefoni saranno tolti. È un bene ma nel frattempo anche un male. Il bene è, che non si potrà tracciare i telefoni, il male è che non potremo comunicare con i cari.

Ho notato una differenza tra le regioni: nella regione di Kherson i civili venivano da noi, chiedevano di che cosa abbiamo bisogno. Portavano gli indumenti e gli alimentari. Al Donbas praticamente nessuno veniva da noi, delle volte ci proponevano l’acqua, ma noi pensavamo che fosse avvelenata. Mentre nella regione di Luhans’k ci chiedevano: “Che cosa possiamo vendervi? Voi ci date i soldi e noi andiamo a comprare quello che serve.” Però per loro questo era rischioso, perché quando i separatisti scoprivano questa gente, potevano ucciderli.

Io mi spezzavo e mi ricomponevo a nuovo ogni giorno. Quando è il tempo di pace, a casa facendo qualcosa ti stanchi e dici “non ce la faccio più” e abbandoni la faccenda. Mentre sei in guerra non puoi fare così, ma per questo non ti senti meglio. Le telefonate mi sollevavano di umore molto. Ti chiamano e ti dicono: “crediamo in te… tieni duro… vinceremo…”. Io cercavo di ricordare perché sono partito per guerra, quali emozioni provavo e quali idee. Ora mi sento male, mentre in realtà va bene tutto. Dobbiamo semplicemente superarlo, dobbiamo vincere. Noi non abbiamo invaso nessuno, siamo a casa nostra. Loro non sono motivati, non credono a quello che fanno. Mentre il credere è la cosa importantissima. Se non credi a quello che fai, ti possono pagare tutti i soldi che vuoi, non vorrai mai rimanere lì. Ad esempio, io quando mi arruolavo non sapevo che mi pagassero anche. E quando ho saputo dello stipendio, ho pensato: “e mi pagano pure”. Ma se qualcuno volesse andare lì solo per guadagnare i soldi, non durerebbe neanche una settimana.

Dopo la fame subita a Dovzhanskyi il mio comandante del reparto è andato all’ospedale da campo. Quando è tornato ha detto: “ragazzi, nelle retrovie ci sono gli uomini, con i musoni grossi così, al posto dei volti, aprono una scatola di carne stufata, dicono che c’è troppo grasso e la buttano via”. Io li ho visto con i miei occhi.

Quando non sono al fronte, mi sento come se mi trovassi in un altro paese. Proprio ieri sono entrato in un negozio a comprare le sigarette, là tutto il giorno comprano la birra e direttamente sotto il negozio la bevono. Mi chiedono:

  • Oh, ma vai in guerra o sei tornato?
  • Vado dalla guerra in guerra.
  • Fa paura là?
  • No, qui fa paura, molta paura
  • In che senso?
  • Fa paura non avere lo scopo nella vita e bruciare la propria vita ogni giorno, bevendo la birra. Quando sei giovane e pieno di salute, ma ti comporti come un bambino, non capendo quello che succede, questo fa paura. Fa paura, quando dimostri a tutti che maschione sei, ma quando arrivi all’ufficio di reclutamento cominci: “sono storto, malato, ho la mamma malata, non posso andare in guerra”. E fa ancora più paura, quando per la tua paura trovi la scusa tipo: “è la politica, non mi riguarda; loro sono il popolo fratello, non dobbiamo ucciderci a vicenda. Noi siamo gli slavi amichevoli”. Fa paura di accusare del proprio timore qualcun altro. Questa guerra dimostra chi è chi.

Credo, che la società è una specie di formicaio, dove tutti lavorano per raggiungere lo scopo. Qui non ci possono stare coloro, che dicono “non mi riguarda”, mentre usano tutti i privilegi del formicaio.

Testo e foto di Vika Yasyns’ka per Censor.net del 06/09/2014

Traduzione di Dana Kuchmash

Fonte: http://censor.net.ua/resonance/301353/sashko_bots_79_brigadi_tam_na_front_ne_strashno_strashno_tut_ya_koli_ne_na_peredovyi_nache_vzagal_v