La tragedia dell’Holodomor nelle pagine di George Orwell
Ottanta anni fa Orwell fotografava una realtà di disinformacija e di cinismo da parte del'Europa che ricorda tristemente quella attuale
Robert Conquest, cui si deve la sconvolgente ricostruzione storica della carestia pianificata da Stalin nel 32’-33 nota come Holodomor, nel libro più recente I Dragoni della Speranza (Liberal 2007) torna a denunciare il degrado politico e il feticismo intellettuale che caratterizzano il mondo odierno.
Conquest, che ha consacrato gran parte della sua vita all’analisi delle distorsioni politiche e mentali che hanno provocato e giustificato l’ascesa dei totalitarismi del Novecento, stalinismo in primis, dedica uno dei capitoli più interessanti del suo saggio – emblematicamente intitolato Un branco di impostori – allo smascheramento delle distorsioni storiche e delle manipolazioni degli eventi della storia sovietica da parte di personaggi quali C.P. Snow, Simone De Beauvoir e John Kenneth Galbraith che “vantano grandi pretese di riconoscimento intellettuale”.
Il tema è a ben vedere non solo di stretta attualità ma intrinsecamente legato al tema della memoria e dell’accertamento della verità storica dell’Holodomor.
È stato ricordato da più parti come la tragedia dell’Holodomor sia stata oggetto di manipolazioni, censure e di vere e proprie negazioni da parte di storici, giornalisti e sedicenti intellettuali.
Piero Ostellino non a caso parlò di vera e propria “editoria della manipolazione”.
Tanti i nomi anche illustri dei negazionisti. A partire dallo storico Edward Carr per finire con l’inviato del New York Times Walter Duranty insignito addirittura del Premio Pulitzer nel 1932. Un partito quello dei negazionisti, o per dirla alla Conquest degli impostori, che ha avuto moltissimi adepti anche nel nostro Paese.
Tra i più strenui e lucidi oppositori di questo partito nell’Inghilterra degli anni ’40, alleata con l’Unione Sovietica di Stalin, vi fu lo scrittore George Orwell.
L’autore de La fattoria degli animali e di 1984 rappresenta una singolare figura di intellettuale che merita di essere riletto con attenzione sia per la straordinaria abilità narrativa nel trasformare la scrittura politica in arte sia per l’attualità e la lucidità delle sue analisi sullo stalinismo.
Non è un caso che lo stesso Conquest, che conobbe Orwell negli anni ‘30 , citi spesso nel suo ultimo saggio lo scrittore inglese come raro esempio di onestà intellettuale.
Orwell non fu uno storico nel senso accademico del termine ma, attraverso la sua produzione giornalistica e letteraria, si è rivelato uno dei più lucidi studiosi delle contraddizioni e delle aberrazioni del totalitarismo stalinista.
Il contributo offerto da Orwell in qualità di romanziere ne La Fattoria degli Animali – come ha sottolineato anche lo storico Timothy Garton Ash – è stato essenziale ex post per la ricostruzione di eventi come il Holodomor.
Raccolto di dolore di Conquest uscì negli Stati Uniti solo nel 1986, ossia 53 anni dopo i tragici eventi del genocidio in Ucraina.
Quelli stessi eventi, attraverso una metafora dura e pungente degna del migliore Jonathan Swift, corredati di riferimenti inequivocabili alla storia sovietica, sono raccontati nel settimo capitolo della Fattoria degli Animali.
Che il libro fosse un evidente atto d’accusa contro lo stalinismo in cui era facile riconoscere personaggi storici ben precisi (Lenin, Stalin, Trotskij) e avvenimenti della storia sovietica (NEP, industrializzazione forzata e la stessa tragedia del Holodomor) lo dimostrano le enormi difficoltà incontrate da Orwell nel trovare un editore disposto a pubblicarlo.
Uno scritto risalente al 1945, ritrovato tra le carte dell’autore e pubblicato nel settembre 1972 dal Times Literary Supplement, palesa gli ostacoli incontrati dall’autore per la pubblicazione del libro fotografando nitidamente il clima culturale dell’epoca.
Il breve saggio, intitolato La Libertà di Stampa, costituisce unitamente alla Prefazione alla traduzione ucraina de La Fattoria degli Animali uno degli scritti più interessanti per comprendere le forti motivazioni etiche dell’opera.
“L’idea centrale del libro – scrive Orwell nell’incipit dello scritto – risale al 1937, ma la sua stesura ha avuto luogo verso la fine del 1943. Nel momento in cui è stato finalmente ultimato, è apparso chiaro che (nonostante l’attuale scarsità di letture sia una garanzia che tutto ciò che può essere definito libro è suscettibile di vendere) sarebbe stato molto difficile farlo pubblicare. In effetti è stato rifiutato da quattro editori, solo uno dei quali aveva motivazioni ideologiche; due pubblicavano da anni libri antisovietici, mentre il quarto non aveva un orientamento politico identificabile. Inizialmente, a dire il vero, un editore aveva accettato il libro; ma dopo le intese preliminari aveva deciso di consultare il ministero dell’Informazione, che pare gli abbia intimato, o comunque consigliato energicamente, di non pubblicarlo”.
Orwell si interroga sul fenomeno della censura e della libertà di stampa citando diversi episodi in cui l’intelligencija letteraria inglese aveva difeso l’Urss di Stalin ricorrendo a falsificazioni, omissioni e vere e proprie manipolazioni.
“In qualsiasi momento esiste un’ortodossia, un complesso di idee che si presume debbano essere accettate senza obiezioni da chiunque la pensi correttamente. Non che sia precisamente vietato dire questa o quella cosa, però non sta bene dirla, proprio come nel periodo vittoriano non stava bene menzionare i pantaloni in presenza di una signora. Chiunque sfidi l’ortodossia dominante viene ridotto al silenzio con sorprendente efficacia. Le opinioni autenticamente anticonformiste non trovano quasi mai spazio sulla stampa popolare quanto sulle riviste”.
Prosegue ancora Orwell fotografando una realtà che a ben vedere ricorda da vicino quella odierna.
“L’ortodossia dominante esige in questo momento un’ammirazione acritica nei confronti della Russia sovietica. Tutti lo sanno, quasi tutti vi si adeguano. È pressoché proibito criticare seriamente sulla stampa il regime sovietico o rivelare fatti che il governo russo preferisce tenere nascosti. È abbastanza curioso che questa cospirazione su scala nazionale per compiacere il nostro alleato si verifichi in un ambito di autentica tolleranza intellettuale”.
E poi ancora: “L’intelligencija inglese aveva, almeno in gran parte, sviluppato una lealtà di tipo nazionalistico nei confronti dell’URSS e avvertiva intimamente che insinuare il minimo dubbio sulla saggezza di Stalin sarebbe stato come bestemmiare. Ciò che avveniva in Russia andava giudicato con criteri differenti da ciò che avveniva in altre nazioni. Le interminabili esecuzioni che ebbero luogo durante le purghe del 1936-38 furono approvate da persone contrarie da sempre alla pena capitale, e si considerò corretto dare notizie delle carestie in India senza dire una parola su quelle che si verificavano in Ucraina” .
Considerazioni tristemente attuali anche oggi alla luce di ciò che sta succedendo ormai da un anno in Ucraina.
Massimiliano Di Pasquale