Cuore, suicidio o omicidio? Come è morto Vasyl Stus
04.09.2011 Vasyl Ovsiienko
Nella notte tra il 3 e il 4 settembre del 1985 nella cella di isolamento del lager del regime speciale VS-389/36 nel villaggio Kuchyno della provincia di Chusovoy della regione di Perm’, è deceduto il poeta e il difensore dei diritti umani, il quarantasettenne Vasyl Stus. Ci sono alcune versioni dell’accaduto.
In quel periodo io mi trovavo nella cella n°20 della stessa baracca, perciò è il mio dovere civile e umano di testimoniare ancora una volta davanti alle persone sempre nuove delle circostanze e le cause della sua morte.
Dal 1995 nei locali di questo lager è aperto il famoso Museo della storia delle repressioni politiche e del totalitarismo “Perm-36”. L’ltima volta l’ho visitato il 30-31 luglio del 2011.
Aspetto odierno della baracca, dove ha vissuto i suoi ultimi anni Vasyl Stus. La prima finestra a sinistra è la cella di isolamento, dov’è stato recluso il poeta negli ultimi suoi giorni. Foto di Vasyl Ovsiienko.
La storia di quest’ultimo lager di GULAG è breve. Dal 1 marzo del 1980 al 8 dicembre del 1987 ci sono stati detenuti solo 56 prigionieri. Normalmente ci sorvegliavano circa 30 persone.
In questi 7 anni qui sono morti 8 prigionieri, inclusi i membri del Gruppo ucraino di Helsinki Oleksa Tykhyi (27.01. 1927 - 5.05. 1984), Yuriy Lytvyn (26.11. 1934 - 5.09. 1984), Valeriy Marchenko (16.09. 1947 - 7.10. 1984), Vasyl Stus (7.01. 1938 - 4.09. 1985). Però, solo Stus è morto direttamente nella baracca, gli altri tre sono morti negli ospedali della prigione.
In diversi tempi e nelle celle diverse qui venivano puniti, oltre ai citati sopra, i membri del Gruppo ucraino di Helsinki Danylo Shumuk, Bohdan Rebryk, Oles Berdnyk, Ivan Kandyba, Vitaliy Kalynychenko, Yuriy Lytvyn, Mykhaylo Horyn’, Valeriy Marchenko, Ivan Sokul’skyi, Petro Ruban, Mykola Horbal’, i membri stranieri del Gruppo l’estone Mart Niklus e lituano Viktoras Piatkus, i quali si sono iscritti al Gruppo nel periodo più difficile, nel 1982.
Qui ho trascorso 6 anni della mia vita.
L’insegna originale dell’ultima zona politica dell’URSS, salva per miracolo. Foto di Vasyl Ovsiienko
Vicino, nel regime duro erano incarcerati il Presidente del Gruppo Mykola Rudenko e il membro fondatore Myroslav Marynovych. Non ci siamo mai radunati così in tanti, forse solo alle Assemblee celebrative di 20, 25 e 30 anni del Gruppo.
Qui sono stati detenuti anche gli ucraini Ivan Hel’, Vasyl Kurylo, Semen Skalych (Pokutnyk), Hryhoriy Prykhod’ko, Mykola Yevgrafov, Oleksiy Murzhenko. Come anche negli altri campi di concentramento gli ucraini qui componevano la maggioranza del suo “contingente”.
Appena da Kuchyno. Ex prigionieri politici l’estone Mart Niklus (a sinistra) e Hryhoriy Prykhod’ko poco dopo la scarcerazione
In questo vero “internazionale” hanno trascorso tanti anni il lituano Balys Gajauskas, gli estoni Enn Tarto e Mart Niklus, lettone Gunars Astra, gli armeni Azat Arshakian e Ashot Navasardian, i russi Yuriy Fedorov, Leonid Borodin. La maggioranza di questi personaggi erano i difensori dei diritti umani conosciuti e gli attivisti dei movimenti indipendentisti, e una volta liberati loro sono diventati politici e gli attivisti civili. Per il regime sovietico invece loro erano i criminali recidivi particolarmente pericolosi.
Praticamente non era un lager ma un carcere di regime duro. Quando nei lager per i criminali i prigionieri venivano portati a lavorare nei reparti della zona di lavoro, noi lavoravamo nelle celle di fronte alle nostre.
Avevamo un ora d’aria al giorno, in un cortiletto 2x3 metri rivestito di metallo, coperto dall’alto con il filo spinato, con un guardiano che ci sorvegliava. Dalle nostre celle vedevamo solo una recinzione a 5 metri dalla finestra e una striscia del cielo. C’erano 7 recinzioni dei vari tipi, anche i fili sotto tensione. Nel perimetro c’era una zona proibita di 21 metri.
Alcune decine dei prigionieri politici venivano sorvegliati meglio delle migliaia di criminali.
Il nostro nutrimento costava 24-25 rubli al mese, l’acqua era con la ruggine e puzzava. Noi tutti con le teste rasate, i nostri indumenti erano cuciti di tessuto a righe. Avevamo diritto per un appuntamento all’anno, il pacco fino a 5 kg una volta all’anno dopo aver scontato la metà del termine, ma cercavano di privarci anche di questo. Alcuni di noi per anni non hanno visto altri che i compagni di cella e i guardiani.
Il lavoro consisteva nell’attaccare al cavo del ferro da stiro il pezzo nel quale viene inserita la lampadina. Il lavoro non era difficile, ma ne era tanto: se non eseguivi la norma, oppure in qualche modo violavi il regime venivi punito con la detenzione nella cella di isolamento, con la privazione dell’appuntamento, del pacco, della spesa (ogni mese veniva permessa la spesa di alcuni prodotti per il prezzo totale di 4-6 rubli).
I “trasgressori recidivi del regime” venivano puniti con l’incarcerazione nella cella singola per un anno, con il trasferimento nel carcere per 3 anni. Durante il periodo del gendarme generale Andropov, nel 1983, al codice penale è stato aggiunto l’articolo 183-3, secondo il quale le violazioni sistematiche del regime venivano punite con altri 5 anni di detenzione, ma questa volta nel lager criminale. Perciò si apriva una prospettiva dell’incarcerazione a vita, oppure una morte veloce causata dai criminali.
Tuttavia, la cosa più difficile era di sopportare la pressione psicologica. Se nei tempi di Stalin, quando sono state annientate intere categorie della popolazione, tutti non adatti alla costruzione del comunismo sono stati destinati alla trasformazione alla polvere di lager, e il governo di queste persone non si interessava più, nei nostri tempi la sentenza pronunciata dal tribunale non era definitiva.
Nei nostri tempi raramente qualcuno capitava nei lager politici per “nulla”. Tutti erano attivi, i quali una volta liberati potevano ribellarsi nuovamente. Perciò il governo osservava attentamente ognuno di noi, stabiliva l’importanza della persona, le sue possibilità potenziali e la trattava di conseguenza. Era una specie di perizia: studiavano la tendenza dello sviluppo (o della decadenza) di una o dell’altra persona e applicavano le misure preventive, per non permettere a questa persone di crescere e diventare più pericolosa per lo stato.
Da questo punto di vista il poeta ucraino Vasyl Stus era particolarmente pericoloso per l’impero comunista russo, il quale si mascherava con il nome dell’URSS.
Monumento a Vasyl Stus nel villaggio Rakhnivka nella regione di Vinnytsia, dov’è nato. Lo scultore Borys Dovhan’. Foto Vasyl Ovsiienko
Stus insieme agli altri difensori dei diritti umani minavano seriamente il regime totalitario comunista, il quale si faceva chiamare ipocritamente il governo sovietico. E questo impero alla resa dei conti è caduto, esaurendo le sue possibilità economiche, e non reggendo l’opposizione militare all’Occidente, subendo un fallimento ideologico.
Noi abbiamo combattuto in questo fronte ideologico e abbiamo vinto. Io non sono incline ad esagerare il nostro ruolo in questo crollo: poco fa Kyiv ha visitato il leader del Gruppo di Helsinki lituano Tomas Venclova. Lui ha detto, che i dissidenti hanno svolto il ruolo di quel topolino, senza il quale il nonno, la nonna, la nipotina, il cagnolino Zhuchka, la gattina Murka non sarebbero riusciti a tirare fuori la rapa (dalla fiaba folcloristica ucraina “Ripka”)…
Dopo aver trascorso 5 anni della detenzione a Mordovia e 3 anni di confino nella regione di Magadan, Vasyl Stus fu arrestato per la seconda volta il 14 maggio del 1980 durante le “purghe olimpiche”: Mosca e Kyiv, dove dovevano essere svolti i giochi olimpici, sono stati ripuliti dagli elementi indesiderati, incluso il resto dei dissidenti, che si riunivano nei Gruppi di Helsinki.
Stus dopo la prima incarcerazione a Kyiv durò solo 8 mesi.
Della sua prontezza di iscriversi al Gruppo, malgrado la sua opinione critica nei suoi confronti, Stus scrisse diverse volte dal confino, iniziando da ottobre del 1977. Tuttavia il suo cognome i kyivani non si affrettarono ad inserire nei documenti del Gruppo. Però, quando Stus ad agosto del 1979 tornò a Kyiv nessuno poteva trattenerlo: persino la settantacinquenne fino allora Oksana Yakivna Meshko guardava la sua figura dal basso in alto.
“a Kyiv ho scoperto, che le persone vicine al Gruppo di Helsinki vengono represse in maniera più bruttale. Almeno in questo modo hanno condannato Ovsiienko, Horbal’, Lytvyn, allo stesso modo hanno annientato Chornovil e Rozumnyi. Io non volevo questa Kyiv. Vedendo che il gruppo praticamente rimane dissanguato, io mi sono iscritto, perché non potevo fare altrimenti. Quando la vita mi è stata proibita, io non ho avuto bisogno delle briciole…
Psicologicamente io capivo, che il cancello del carcere è già aperto per me, che nei prossimi giorni verrà chiuso dietro di me per un lungo periodo. Ma che cosa dovevo fare? Agli ucraini non è permesso di andare all’estero, e poi non ne avevo tanta voglia di andare all’estero: altrimenti chi, qui nell’Ucraina, diventa la voce dello sdegno e della protesta? Questo è il destino, e il destino non si può scegliere, ma viene accettato così com’è. E quando non lo scegli tu, allora è il destino che sceglie te… (“Dal quaderno di lager”, voce 6. // V.Stus. Opere 6 volumi 9 libri. – Volume 4. – Lviv: Prosvita, 1994. – pag.493).
“ma non ho intenzione di abbassare la testa, nonostante tutto. Dietro di me c’era l’Ucraina e il mio popolo oppresso, per l’onore del quale io devo combattere fino alla morte” (lo stesso, voce 4, pag.491).
Con la famiglia poco prima dell’ultima incarcerazione
Con la sentenza standard di 10 anni dei lager del regime speciale, 5 anni del confino e con il titolo “onorario” del “recidivo particolarmente pericoloso”, Vasyl Stus è arrivato a Kuchyno a novembre del 1980. Qui lo detenevano in un regime speciale. Dagli Urali lui è riuscito a spedire insieme alle lettere alla moglie solo un paio di poesie.
Nel regime speciale era permesso di scrivere una lettera al mese. La pulivi, la scrivevi molto attentamente per evitare le frasi equivoche, ma loro lo stesso trovavano “un’informazione proibita”, “il testo equivoco”, oppure semplicemente dicevano, che la “lettera è sospetta”, e la confiscavano. Oppure la inviavano a Kyiv per la traduzione, e poi decidevano inviarla o no. Proponevano “scrivi in russo, raggiunge la destinazione molto prima”. Ma come facevi a scrivere in una lingua straniera alla madre o figlio?
Era permesso di ricevere le lettera da chiunque, tuttavia, in realtà ti consegnavano solo alcune lettere dalla famiglia. Nelle ultime settimane della vita Vasyl ricevette il telegramma dalla moglie che comunicava la nascita del nipote Yaroslav (18.05.1985). Il maggiore Sniadovskyi convocò Stus nel suo ufficio, gli fece gli auguri e lesse una parte del telegramma, ma non glielo consegnò in mano a causa dell’informazione proibita nel suo contenuto. Stus fu molto indignato.
Le perquisizioni venivano svolti due-tre volte al mese, ma c’erano i periodi quando il prigioniero veniva perquisito più volte al giorno, per prenderlo in giro. Nella cella potevi tenere 5 libri, brochure e riviste messe insieme. Il resto lo portavano via.
Ognuno era abbonato a qualche rivista o gazzetta, ognuno cercava di lavorare, almeno imparare una lingua straniera. E quindi dovevi avere minimo un dizionario e un manuale. Ma il regime era implacabile, i libri in più venivano gettati nel corridoio.
Prendevamo con noi al lavoro i fogliettini con le parole straniere, per impararle (Stus parlava il tedesco, l’inglese, leggeva tutte le lingue slave, e con l’aiuto dell’estone Mart Niklus imparava il francese). Ma ci toglievano anche i fogliettini.
Mykhailo Horyn’ nella “sua” cella n°17. Foto Vasyl Ovsiienko
Quando ci portavano al lavoro, ti dirigevano prima nel loro “gabbiotto” e ti spogliavano del tutto. Ti palpavano ogni cicatrice, guardavano bene ogni piega del corpo. Come se fosse ora sento una voce infastidita: “Ti palpano come un pollo…”. Una replica simile bastava per finire dentro la cella di isolamento.
Soprattutto erano attenti quando si avvicinava il giorno dell’appuntamento. Se nel KGB decidevano di non permettere l’appuntamento, allora fartelo saltare era una cosa tecnica, i guardiani ricevevano l’ordine di trovare in un modo o nell’altro nel tuo atteggiamento la violazione del regime: parlavi con la cella vicina dal finestrino, non hai eseguito la norma di produzione, hai dichiarato lo sciopero della fame illegale.
Il capo del regime, il maggiore Fedorov di persona controllava la polvere sugli scafali. Lo stesso Fedorov ha punito Balys Gajauskas perché l’ultimo “non era sincero” parlando con lui. E se gli diceva con la sincerità quello che pensava di lui violava ancora di più il regime.
Stus ebbe un solo appuntamento a Kuchyno. Quando lo portarono per il secondo appuntamento lui non resse alla procedura umiliante della perquisizione e ritornò nella cella.
Stus iniziò a subire le pressioni dal 1983. Nel giorno del suo compleanno, cioè a Natale, fu perquisito. Gli tolsero tutti i suoi scritti. chiamò il guardiano di turno, il maggiore Galedin, per riavere gli scritti oppure almeno di scrivere l’atto di sequestro.
- Chi li ha presi?
- Quel nuovo maggiore, non conosco il suo cognome. Quel tataro.
Fu fatto il rapporto, che Stus offese la dignità etnica del maggiore Gatin. Anche se lui era un vero e proprio tataro, ma si vede che si levò alla razza superiore, al “grande popolo russo”. Stus per questo motivo fu buttato nella cella di isolamento. Contemporaneamente chiusero nella cella di isolamento anche l’estone Mart Niklus:
- Stus dove sei?
- In quela cella in nome di Lenin-Stalin! E Gatin-tataro!
Nel corridoio accesero gli altoparlanti.
Poco dopo Vasyl al lavoro, avvitando energicamente le viti con un cacciavite meccanico, improvvisava: “Per Lenin, per Stalin! Per Gatin-tataryn! Per Yuriy Andropov! Per Van’ka Davyklopov! E un po’ per Kostia, per Chernenko. Perché non ci sta con la rima”.
Una volta ho sentito come Stus parlava con kgbista Chentsov Vladimir Ivanovich:
- Mi dice, che ha depositato i miei scritti nel magazzino dietro la zona. Lo so, voi volete che non rimanga nulla di me una volta morto… io non scrivo nulla di mio, faccio solo le traduzioni. Concedetemi la possibilità di completare almeno qualcosa…
Chi riusciva a non scrivere nulla da recluso, stava meglio. Un artista, secondo il mio compagno di cella Yuriy Lytvyn, somiglia ad una donna: quando lui ha l’idea artistica, deve partorire un’opera. E come ad una madre è difficile guardare quando uccidono il suo figlio appena nato, così si sente anche un artista, quando distruggono la sua opera. E peggio ancora quando strappano quel bambino dal grembo prima della nascita e calpestano con gli stivali sporchi dei guardiani…
A febbraio del 1983 Stus fu recluso nella cella singola per un anno. Quando uscì da lì, ci misero insieme nella cella n°18 per un mese e mezzo.
Io ho letto il suo quaderno fatto a mano con la copertina azzurra (senza il titolo) con alcune decine di poesie scritte in stile di verso libero, e il quaderno a quadretti con le traduzione di 11 elegie di Rilke. In quel periodo ero in uno stato fisico grave e non sono riuscito ad imparare a memoria neanche una poesia. E poi io non speravo che ci dividessero così presto.
Nelle lettere del 12 settembre e del dicembre del 1983 Stus chiama quella raccolta “L’uccello dell’anima” e scrive, che essa contiene circa 40 poesie (Volume 6, libro 1, pag. 444 e 449), e nella lettera del 1 febbraio del 1985 scrive già di 100 poesie. “Mentre altre 50 maturano nelle bozze” (pag. 483). E poi scrive: “…arde nell’anima una raccolta “Passioni per la Patria” (pag. 479, lettera da novembre-dicembre 1984).
“Tradotte le “Elegie” di Rilke, sono più di 900 righe del testo poetico molto difficile (pag.444, lettera del 12.09.1093).
Quel “Uccello” non è riuscito ad uscire fuori dalle grate. Smettiamo di raccontarci la favoletta dolce, che gli scritti non bruciano.
Mykhailyna Kotsiubynska ha scritto: “… l’albero di poesia di Stus ha la cima tagliata…” (Vol.1, pag. 28).
Questo aspetto aveva il testo scritto da Stus, il quale dopo è stato intitolato “Dal quaderno del lager”
È un altro crimine dell’imperialismo russo contro la cultura ucraina. Del periodo cinquenne a Kuchyno sono rimaste 45 lettere, alcune poesie e il testo, chiamato “Dal quaderno del lager”. Questi 16 pezzi della carta condensata coperta con la scrittura minuscola, verso l’inizio del 1983 il compagno di cella Balys Gajauskas ha consegnato durante un appuntamento alla moglie Irena Gajauskene insieme ai suoi scritti. Il libro contiene 12 pagine di testo, ma la loro forza esplosiva è talmente potente, che ha rovinato anche il suo autore.
Io credo, che uno dei motivi della sua distruzione era l’apparizione all’Occidente di questo testo.
Il secondo motivo è la presentazione della sua arte al premio Nobel del 1986. Le poesie di Vasyl Stus sono state pubblicate in diverse lingue. Il mondo ha visto il livello del talento del poeta ucraino non attraverso il movimento dissidente, ma come un fenomeno artistico.
Nelle mie vecchie pubblicazioni scrivevo, che l’arte di Stus è stata presentata al premio Nobel da Heinrich Böll, il premio Nobel per la letteratura del 1972 e il Presidente di PEN club internazionale (1971-1976, deceduto il 16 luglio 1985). Heinrich Böll davvero minimo per due volte prese le difese di Stus. Così, il 24 dicembre del 1984 lui insieme agli scrittori tedeschi Siegfried Lenz e Hans Werner Richter inviarono un telegramma al Segretario Generale del Partito Comunista dell’URSS dell’epoca Kostiantin Chernenko riguardo allo stato di salute pericoloso di V.Stus. Ma non ricevettero alcuna risposta.
Il 10 gennaio del 1985 Heinrich Böll rilasciò un’intervista alla radio tedesca raccontando di Stus. Questa intervista fu pubblicata anche dalla stampa. Tuttavia, non esiste alcun documento che potesse testimoniare la presentazione della candidatura di Stus al premio Nobel, e non fu trovato neanche un ricordo di tale documento.
Lo storico e il giornalista Vakhtang Kipiani nella sua pubblicazione “Stus e Nobel. Demistificazione del mito” scrive: “Nella gazzetta “America” del 17 dicembre del 1985 (da notare che sono già 3 mesi da quando Stus è deceduto) vediamo l’informazione, che alla fine del 1984 a Toronto è stato fondato il “Comitato internazionale per presentare Vasyl Stus al premio Nobel per la letteratura nel 1986”.
Il Comitato era composto dai famosi scienziati e gli attivisti della diaspora ucraina, le persone di un certo rilievo dai diversi paesi del mondo. Il capo del Comitato era Dott. Yaroslav Rudnytskyi. Il Comitato ha diffuso più di cento lettere con la richiesta di inviare le lettere di raccomandazione al Comitato del premio Nobel, ed ha organizzato le traduzioni delle opere di Stus, ma esso puntava al anno 1986.
La celebrazione postuma di Vasyl Stus a Toronto. Il tentativo di assegnargli il premio Nobel è stato fatto tardi e senza successo.
Il Cremlino all’epoca aveva già i problemi con i vincitori del premio Nobel Aleksandr Solzhenitsyn (1970), il quale è partito per estero (il 13 febbraio del 1974), e Andrey Sakharov (1975), il quale con l’inizio della guerra di Afghanistan è stato deportato a Gorkiy (22 gennaio 1980) e detenuto lì agli arresti domiciliari.
A Cremlino sapevano che il premio Nobel, secondo il suo Statuto, viene assegnato solo ai vivi, e mai ai candidati già deceduti. Il Cremlino non poteva permettere, che un premio Nobel, e per di più un ucraino, si trovasse nel carcere (perché questo avrebbe sollevato la “causa ucraina” ad un livello inaudito).
Nel 1936 nella situazione simile capitò anche Adolf Hitler. In quel periodo il premio Nobel fu assegnato al pubblicista tedesco Carl von Ossietzky. Ma lui si trovava nel campo di concentramento. Hitler ordinò di liberarlo. Ma finché la macchina burocratica faceva il suo corso il vincitore del premio morì da recluso.
Mosca ha risolto la causa del candidato ucraino al premio Nobel in base al testamento di Stalin: “Non c’è l’uomo – non c’è il problema”.
Amici di Stus: Mykhailo Horyn’, Paruyr Hayrikyan e Vasyl Ovsiienko – alla sua tomba, al cimitero Baikove di Kyiv
E successe tutto all’epoca di Gorbachov, che si insediò al “trono” al Cremlino ad aprile del 1985.
I difensori di Gorbachov diranno, che lui probabilmente non ha mai sentito parlare di Stus. Ma io sono convinto, che le nostre cause venivano esaminate e decise al livello più alto. I recidivi politici particolarmente pericolosi erano quasi tanti quanti erano i membri di Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’URSS a Cremlino.
Gorbachov ha iniziato la “perestroika”, non rilasciando i prigionieri politici, i quali sembrerebbe fossero i suoi alleati più vicini, come succede dappertutto. Ci deteneva ancora nel 1988, e alcuni di noi erano rinchiusi anche nel 1989, e una volta diventato il premio Nobel per la pace (1990) ha iniziato una nuova “raccolta” dei prigionieri politici. Lui ci ha graziati, cioè prima ci considerava i delinquenti ai quali poi ha mostrato la misericordia.
La riabilitazione è arrivata nel 1991…
Io sono convinto, che l’amministrazione del lager VS-389/36 ricevette l’ordine dal Cremlino di annientate Vasyl Stus a qualsiasi costo.
Com’è successo? Nel carcere vedi poco, ma sentendo i suoni riesci a capire quel che succede.
D’estate del 1985 Vasyl Stus per un breve periodo usciva dalla cella di isolamento ed era detenuto nella cella n°12 con Leonid Borodin (lo scrittore russo, oggi il capo redattore della rivista “Mosca”). La cella era piccola, aprivi le braccia e toccavi entrambi le pareti. Un letto a castello, due sgabelli, un comodino per due e una parasha (il water nel gergo carcerario). Sui letti si poteva stare solo 8 ore di notte fino alla sveglia. Stare seduto sui letti nelle altre ore della giornata significava violare il regime.
Una volta di notte uno dei soldati sulla torretta cantava ad alta voce. Borodin si è alzato e ha premuto il bottone del campanello, ha chiamato il guardiano e ha chiesto di chiamare il sodato, chiedendolo di non cantare ad alta voce e lasciar riposare la gente.
Il giorno dopo si è scoperto, che è stato Stus a svegliare tutto il carcere, perciò l’hanno rinchiuso nella cella di isolamento per 15 giorni. Borodin è andato dal capo del lager, il maggiore Zhuravkov, a spiegargli la situazione, ma lui ha risposto che si fidava dei suoi subordinati. Probabilmente aveva già l’ordine di annientare Stus.
Qualche giorno dopo la cella di isolamento, di preciso il 27 agosto, è saltato fuori un nuovo problema. Stus ha preso un libro, e l’ha appoggiato al letto di sopra e appoggiandosi con i gomiti leggeva. Dal finestrino ha sbirciato praporshchik Rudenko: “Stus, sta violando la forma della sistemazione del letto!”. Stus ha cambiato la posizione, adottando quella permessa. Ma l’ufficiale di turno, il tenente maggiore Saburov, il secondino Rudenko e un altro collega hanno scritto un rapporto, che Stus nell’orario lavorativo era sdraiato sul letto con gli indumenti addosso e quando il “cittadino controllore” glielo ha fatto notare lui ha risposto male. Ovviamente, lo hanno gettato nella cella di isolamento per 15 giorni.
Uscendo dalla cella, Stus disse a Borodin, che lui dichiarava lo sciopero della fame. Borodin chiese: “Quale sciopero della fame?”, Stus rispose: “Quello fine alla fine”.
Nel 1983 Stus già fece lo sciopero della fame per 18 giorni. Poi mi disse: “è così schifoso finire lo sciopero della fame non raggiungendo lo scopo. Non lo farò mai più”. Era un uomo di parola.
Le celle di isolamento sono situate nella parte nord della baracca, in un piccolo corridoio. Stus fu recluso dentro la cella di isolamento n°3, quello all’angolo e più vicino alla guardia. Da lì non potevamo sentire alcun rumore.
Cella di isolamento, dove è stato rinchiuso negli ultimi giorni della vita Vasyl Stus. Foto di Vasyl Ovsiienko
Il 2 settembre noi, dalle nostre celle, sentivamo, che Stus fu condotto da qualche capo. Tornando da lì lui a voce alta di proposito ripeteva: “Punisco, punisco… Ma potete anche uccidermi, Gestapo!”. In questo modo ci ha avvisati, che è stato minacciato con una nuova punizione.
L’estone Enn Tarto di sera raccoglieva i prodotti pronti (i cavi per il ferro da stiro) dalle celle e distribuiva il lavoro per il giorno dopo. Il 3 settembre circa le ore 17 lui ha sentito come Stus chiedeva “Validol” (medicinale contro il dolore al cuore). Il secondino rispose che il medico non c’era. Allora Enn Tarto stesso disse tutto al dottor Pchelnikov e lui portò a Stus Validol. Quindi, stava male con il cuore.
Dal lato opposto del corridoio, di fronte, nella cella n°7, di giorno lavorava Levko Luk’ianenko. Quando il guardiano era lontano, Levko gridava: “Vasyl, salve!”, oppure imitava la tosse e Vasyl rispondeva.
Ma il 4 settembre lui non rispose. Invece circa le ore 10-11 Levko ha sentito, che nel corridoio sono entrati i capi. Ha riconosciuto le voci del capo del lager, il maggiore Zhuravkov, del capo del regime il maggiore Fedorov, dei kgbisti Afanasov, Vasylenkov. Hanno aperto la porta, sono entrati dentro la cella e parlavano tra di loro a bassa voce. E poi un silenzio strano.
“Persino quella pagana ha smesso di ridere”, - ricorda Levko, parlando della donna responsabile della produzione.
Quel giorno in cucina hanno ordinato una norma di pane a persona, come se qualcuno dovesse partire. A Kuchyno non davano mai il pane per il viaggio: per raggiungere Perm’ o l’ospedale ci volevano un paio d’ore, e già lì ti consegnavano la norma del pane. Ma anche quella norma alla fine è stata dimenticato.
Poi hanno detto a Borodin di consegnare il cucchiaio di Stus. In questo modo volevano far pensare, che lui ha finito lo sciopero della fame.
Durante i prossimi giorni noi con qualsiasi scusa cercavamo di andare all’appuntamento con i capi. Ma non c’era il dottor Pchelnikov, non c’era il kgbista Vasylenkov, non c’era neanche il maggiore Zhuravkov. Il ruolo di capo svolgeva il maggiore Dolmatov, il commissario delle questioni politiche. Lui alla domanda riguardo a Stus ci rispondeva: “Non siamo obbligati di raccontarvi degli altri prigionieri. Non vi riguarda. Stus qui non c’è”.
Avevamo speranza, che Stus è stato portato nell’ospedale alla stazione Vsekhsviatskaya. Ma alla fine di settembre io stesso sono stato portato lì. Mi tenevano isolato, ma io comunque sono riuscito a scoprire che Stus qui non c’è mai stato. Speravo fosse stato portato altrove.
Il 5 ottobre mi hanno convocato due kgbisti, uno locale (di cognome faceva Zuev o Zubov) e Il’kiv Vasyl Ivanovych, arrivato da Kyiv. Parlando con loro io dicevo i nomi di tutti deceduti a Kuchyno, incluso quello di Stus
- Vabbè, Stus… il suo cuore non ha retto. Poteva succedere a chiunque.
In quel momento mi sono sentito male…
È possibile che lui abbia avuto l’attacco cardiaco. Ma teniamo presente, che Stus manteneva lo sciopero della fame nella cella di isolamento fredda, indossando solo il pantalone, il giubbino, la mutanda, la canotta, i calzini e le ciabatte. Senza lenzuola, senza un cuscino, si mettevano le ciabatte sotto la testa. La temperatura di giorno non arrivava neanche a 15 gradi. E non entrava mai neanche un raggio di sole dentro la cella.
Al mattino nella nostra cella n°20 io e Balys Gajauskas vedevamo il giaccio sul vetro. Stus non aveva nulla per coprirsi. E neanche l’energia per scaldarsi…
Luk’ianenko ha vissuto queste situazione e le ha descritte nel suo racconto “Vasyl Stus: ultimi giorni” (Non lasciar morire l’Ucraina! Kyiv, Sofia, 1994. – pag. 327-343). Si tratta di una storia vera, ma devo avvisare che Luk’ianenko spesso modella il comportamento di Stus e gli eventi intorno a lui. Perché lui non gli è stato vicino.
L’amministrazione del lager ha dovuto comunicare alla vedova Valentyna Popeliukh della morte del marito. Lei ha ordinato la bara di zinco ed è partita insieme alla sorella Oleksandra e all’amica Ryta Dovhan’. Nell’aeroporto i kgbisti hanno suggerito categoricamente di lasciare la bara, tanto il corpo non le veniva rilasciato.
Bisogna sottolineare, che la legge sovietica più umana al mondo non permetteva di prelevare oppure riseppellire il corpo del prigioniero deceduto fino alla fine del termine della sua detenzione. Perciò anche i morti rimanevano reclusi.
Da Mosca è arrivato il figlio Dmytro, il quale in quel periodo serviva nell’esercito. Sono arrivati il 7 settembre e il maggiore Dolmatov ha detto: “Allora andiamo al cimitero”. Li ha portati alla tomba fresca nel villaggio Borisovo, a circa tre km dalla zona.
Al luogo del della prima sepoltura al cimitero del villaggio Borisovo, della provincia Chusovoy, della regione di Perm’. Il figlio del poeta Dmytro Stus, i gli ex prigionieri politici Viktor Pestov, Mart Niklus e Vasyl Ovsiienko. Foto di Vakhtang Kipiani
… il 24 febbraio del 1989 il quarantaseienne maggiore Dolmatov è stato seppellito a poche tombe da quella di Stus. Mentre il maggiore Zhuravkov è morto 10 anni dopo Stus. Zhuravkov – junior, il tenente operativo, d’estate del 1987 è annegato nel fiume Chusova. Tutto ciò suscita i seri dubbi riguardo alla morte in seguito all’attacco cardiaco di Stus.
Da qualche parte, in una delle celle di isolamento (Balys Gajauskas, dice che nella cella n°6) era detenuto nello stesso periodo Boris Romashov da Gorkiy. Lui era un assassino, che è “passato sul livello politico”. Per ennesima volta è stato incarcerato per gli slogan antisovietici primitivi, i quali lui ha scritto nel suo passaporto e nella tessera militare e li ha gettati nel cortile dell’ufficio di reclutamento.
Nonostante Romashov sostenesse di possedere un documento che certificava la sua psicopatia, gli hanno dato lo stesso 9 anni di reclusione e 5 anni di confino. Lui ha avuto un conflitto con Stus: gli ha minacciato nella cella lavorativa n°13 con il cacciavite. Anche Stus ha alzato il suo cacciavite, così Romashov non ha osato di colpirlo. Entrambi sono stati buttati nella cella di isolamento per 5 giorni. Mentre Balys Gajauskas un anno prima di liberazione è stato aggredito da Romashov, che ha tentato di ucciderlo, colpendolo diverse volte con il cacciavite alla testa e al petto. Balys è caduto sotto il tavolo, perciò il colpo non ha raggiunto il cuore. Per questo caso Romashov è stato punito solo con la cella di isolamento, tuttavia un kgbista gli portava tutti i giorni una tazza del tè.
Durante il nostro incontro a Kuchyno a ottobre del 2000 Gajauskas ha supposto che Romashov è stato inviato da Stus per ucciderlo…
Però a ottobre del 1985 Enn Tarto ha detto, che Romashov presumibilmente ha sentito, come la sera del 3 settembre durante le ore notturne, Stus gemette: “Mi hanno assassinato, porca miseria...”.
Qualche mese dopo ho avuto la possibilità di chiedere a Romashov la conferma di aver sentito questo gemito, lui ha risposto: “Non voglio parlare di questo”.
Poteva andare anche così. Prima di spegnere la luce per la notte, il guardiano diceva al recluso di mantenere il letto. Perché il letto era fissato in alto da un perno. Il guardiano dal corridoio attraverso un buco nel muro tirava fuori il perno e il recluso doveva abbassare il letto. Sotto il letto fissato al pavimento si trovava uno sgabello, unico posto dove si poteva sedere. Il guardiano poteva tirare fuori all’improvviso il perno e il letto cadendo poteva colpire Stus in testa…
Già dopo, noi, ex prigionieri, cercavamo di ricordare, mettere al confronto tutti i dettagli.
Abbiamo ricordato che nella notte tra il 4 e il 5 settembre nel corridoio abbiamo sentito un urlo bestiale del guardiano Novitskiy: “Passami il coltello!”. Loro tentavano di lanciare la versione, che Stus si è impiccato sul cavo nella cella del lavoro.
Questa versione nel 1996 mi propinava a Kuchyno anche l’ex guardiano Ivan Kukushkin. Però Kukushkin nel periodo in cui morì Stus non lavorava più da noi. Parlando con Kukushkin nel 2001 Luk’ianenko ha smentito questa versione. Lui ricordava bene, che nella sua cella n°7, dove presumibilmente portavano Stus a lavorare, di secondo turno non lavorava nessuno. Lui ricordava bene come lasciava gli attrezzi sul tavolo, e che niente era toccato.
Se Stus davvero lavorava di secondo turno nella cella di lavoro, allora poteva farlo solo in quella n°8, che si colloca nel corridoio principale. Perché io l’ho sentito la sera del 3, lui chiedeva di fornirgli le scarpe nella cella di lavoro (nella cella di isolamento potevi avere solo le ciabatte). Dalla cella n°7 non avrei potuto sentire la sua voce, perché si trovava dietro l’angolo, nell’altro corridoio.
Usando il criminale Viacheslav Ostrogliad hanno tentato di diffondere la versione del suicidio nella cella di isolamento mediante un punteruolo grosso. Tuttavia, né il cavo, né il punteruolo potevano capitare dentro la cella di isolamento, perché Stus veniva perquisito accuratamente.
Durante la riesumazione del 17 novembre del 1989, noi non abbiamo trovato alcun danno ai tessuti della testa e del collo. Il volto non è stato sfigurato, come succede agli impiccati. Solo la punta del naso era un po’ rientrata. Però, questa procedura era svolta sotto tanta di quella tensione, che non abbiamo controllato per bene.
Kyiv, il 19 novembre 1989: la risepoltura di Vasyl Stus e dei suoi amici Yuriy Lytvyn e Oleksa Tykhyi
Io non preferisco neanche una delle due mie versioni: l’attacco cardiaco o il colpo con il letto in testa. Solo gli esecutori conoscono la verità. Alcuni di loro non per caso sono morti poco dopo Stus. La conoscono anche i mandanti, e alcuni di loro sono ancora vivi. Ma non riconoscono la proprio colpa.
Ecco l’ultima versione della famosa poesia di Stus, la quale io ho memorizzato nella mia testa. È una condanna di morte all’impero russo.
Oh nemico, quando sarai perdonato
Per il singhiozzo di un morente e la lacrima pesante
Dei fucilati, torturati, e uccisi
A solovki, siberie e magadan?
Lo Stato delle tenebre e tenebre, e tenebre, e tenebre!
Ti avvinghi come una vipera, da quando
Tremi dal peccato non ripagato
E i rimorsi ti distruggono l’anima.
Impazzisci sopra all’abisso, bilancia,
Ingombra tutti sentieri che portano da te,
perché sai bene, il peccatore mondiale
non può fuggire da se stesso.
Questa pazza raffica, questo tentativo di volare
Dall’inferno al paradiso,
rimanere appeso sopra la morte, e questo
desiderio del maltrattato di maltrattare intero mondo.
E continuare a picchiare e picchiare la vittima sofferente
Per strappargli il perdono per i propri
Crimini inauditi – e tutto ciò ha già segnato le anime a le spine dorsali.
Quella lacrima ti brucerà, e il grido
Furioso crescerà come il segale nei campi.
Tu capirai la odiosa distruzione della stirpe.
Padrone della propria morte, il destino
Vede tutto, sente tutto e tutto rammenta,
e niente ti perdonerà e dimenticherà.
Vasyl Ovsiienko, il filologo, l’attivista, il prigioniero politico (1973-1988), lo storico del movimento dei dissidenti.
Fonte: https://www.istpravda.com.ua/articles/2011/09/4/53998/
Traduzione di Dana Kuchmash