Bandera: vecchi e nuovi miti

Da quando Stepan Bandera negli anni 1935-1936 finì sotto il processo a Varsavia il suo nome è stato al centro delle battaglie verbali. Da più di settant’anni gli ucraini, polacchi, russi, ebrei, e rappresentanti delle altre etnie discutono del suo ruolo nella storia. Il centenario dalla nascita di Bandera nel 2009 e soprattutto l’assegnazione dell’onorificenza dell’Eroe dell’Ucraina e il ritiro della tale l’anno successivo hanno riaperto i dibattiti con una nuova forza. Tuttavia, purtroppo, queste discussioni non ci hanno portato alla migliore comprensione del ruolo di Bandera nella storia.

L’anniversario ha rianimato vecchi e già dimenticati stampi della propaganda sovietica (terrorista, traditore, collaborazionista) i quali vengono presentanti come una “nuova visione” degli storici. La situazione simile successe anche nel 2007 nell’anno del centenario di Roman Shukhevych. Per quel che riguarda Bandera, ai vecchi stampi si aggiungono anche i nuovi stereotipi: un politico distruttivo e secessionista, un capo autoritario senza i valori democratici, una persona che non aveva nulla a che fare direttamente con il movimento insurrezionale della metà del XX secolo. Nonostante la differenza tra chi presenta gli stereotipi, osserviamo due momenti in comune molto importanti. Il primo e principale è che tali stereotipi sostengono la tesi che Bandera non può essere definito un eroe nazionale. Il secondo, metodologico ma non meno importante: presentando le conclusioni su Bandera gli storici e pubblicisti non si rivolgono alle fonti documentali. Di conseguenza alle definizioni sovietiche che non avevano bisogno di essere provate (del tipo “Bandera è un collaborante nazista”) si aggiungono quelle nuove: “Bandera non riconosceva i principi democratici dichiarati alla III Assemblea dell’OUN” oppure persino “era contrario alla fondazione dell’UPA”. Per smentire definitivamente gli stereotipi ci vogliono le ricerche fondamentali basate sui documenti. Tuttavia, la realtà ci obbliga a rischiare di farlo nel seno a questo piccolo articolo.

“Terrorista”

Questo stampo riguardante Bandera probabilmente è il più vecchio, perché egli fu chiamato così ancora dalle autorità polacche. Rispondendo a queste accuse durante il processo a Varsavia lui dimostrò chiaramente cosa ne pensava dei metodi terroristici della lotta nella tattica dell’OUN: “Il procuratore ha detto che tra gli imputati c’è un gruppo dei terroristi ucraini e il loro comando. Voglio dire che noi, membri dell’OUN, non siamo terroristi. L’OUN nella sua attività si occupa di tutte le sfere della vita nazionale. Dichiaro che le azioni militari non sono né uniche né principali ma sono a pari con gli altri campi dell’attività dell’organizzazione. In questa sala si è parlato degli attentati svolti dall’Organizzazione perciò qualcuno potrebbe pensare che per l’Organizzazione non conta nulla la vita, né quella in generale né quella dei propri membri. Dico in breve, che le persone consapevoli di poter perdere la loro vita durante l’operato, come nessun altro sanno apprezzare la vita stessa. Conoscono il suo valore. L’OUN apprezza la vita dei propri membri, anche tanto, però la nostra idea è talmente grande che per realizzarla dobbiamo sacrificare non una, né centinaia ma milioni di vittime. Voi sapete benissimo che ero consapevole di poter perdere la vita e sapete che mi davano la possibilità di salvare la stessa. Da un anno vivo con la convinzione di dover perdere la vita e so benissimo cosa prova una persona con tale prospettiva. Ma in tutto questo periodo non ho provato neanche una volta quello che ho provato quando ho mandato due nostri membri alla morte sicura: Lemyk, e colui che uccise Pieracki”.

Il governo polacco definiva terrorista non solo Bandera ma anche i suoi compagni i quali combattevano tra le file dell’Organizzazione militare ucraina (detta UVO) oppure dell’OUN. Allo stesso modo dei russi che definivano terrorista Józef Piłsudski e altri attivisti dell’Organizzazione militare polacca i quali combattevano contro le autorità russe. Come anche ogni autorità occupazionale definisce i rivoluzionari. La violenza sotto la bandiera del governo viene chiamata la politica, anche se causa migliaia o milioni dei morti. Il tentativo di opporsi con forza a tale violenza al di fuori dalle istituzioni statali automaticamente viene etichettato come terrorismo. Per questo motivo praticamente ogni movimento indipendentista attraversa la tappa quando lo definiscono terroristico, mentre la sua lotta anti occupazionale viene chiamata “attacchi terroristici”. E solo dopo che tale movimento passa dalla lotta armata di una sola organizzazione a quella di tutto il popolo, trova gli alleati nel mondo esterno e alla fine vince, può togliersi di dosso questa umiliante etichetta. I movimenti indipendentistici polacco, irlandese, ebreo dimostrano proprio questo scenario. Ex terroristi Piłsudski, Collins, Begin dopo la vittoria divennero degli eroi nazionali e i capi dei loro nuovi Stati. Gli attivisti del movimento indipendentistico ucraino non videro la loro vittoria, tuttavia, la creazione dello Stato ucraino indipendente è la testimonianza della vittoria del loro movimento, perciò è ora di togliergli l’etichetta dei “terroristi”.

“Collaborazionista”

L’elemento principale della propaganda sovietica contro l’OUN erano le continue accuse del collaborazionismo dell’Organizzazione con i nazisti. E nonostante la divulgazione delle migliaia di documenti, decine di ricerche che provano la lotta antinazista dei nazionalisti ucraini, questo mito persiste. La propaganda presentava  (in alcuni casi continua a presentare) Stepan Bandera come un collaboratore principale di Hitler in Ucraina. Mentre Bandera guardava con scetticismo la possibilità di sfruttare l’aiuto tedesco per costruire l’Ucraina. Questo momento divenne uno dei principali nella sua discussione con i membri più anziani dell’OUN che portò alla scissione dell’organizzazione.

Andrii Melnyk e altri veterani delle guerre indipendentisti degli anni 1917-1920 basandosi all’esperienza del 1918 furono convinti che solo la collaborazione degli ucraini con i tedeschi poteva portare all’indipendenza. Stepan Bandera, invece, sperava nelle proprie forze, mentre l’aiuto estero lo vedeva come quello secondario. Non fidandosi dei tedeschi lui cercò altri alleati: nel 1940 suo fratello Oleksandr svolgeva a nome di Bandera le trattative con il ministro degli esteri italiano Galeazzo Ciano per il possibile sostegno da parte del governo italiano del movimento indipendentistico ucraino.

Intanto veniva sviluppato il concetto del fronte dei popoli sottomessi. L’attualità di questi passi veniva rafforzata dalla situazione internazionale stabilitasi dopo il 23 agosto 1939, quando la Germania divenne l’alleata dell’URSS, il nemico principale dell’OUN. Il patto di Ribbentrop e Molotov dimostrò ancora una volta che la questione della lotta all’indipendenza ucraina non poteva essere affidata del tutto ai tedeschi. Per questo motivo il 30 giugno del 1941 OUN guidata da Bandera dichiarò l’Atto dell’indipendenza dell’Ucraina senza averlo concordato con gli “alleati”. Nonostante gli elogi diplomatici nei confronti di Hitler presenti nell’Atto, i tedeschi capirono chiaramente di essere stati messi di fronte al fatto compiuto. Allo scopo di fermare l’attività indipendente ucraina la polizia subito arrestò Stepan Bandera e pretese da lui l’annullamento dell’Atto. Fu una proposta alla quale non si poteva rinunciare, ma Bandera lo fece lo stesso.

A tutti coloro che ancora oggi credono in “Bandera collaborazionista tedesco” consiglierei di leggere un documento tedesco unico, il verbale della conversazione del 3 luglio 1941 tra il capo dell’OUN e il vice segretario di Stato Ernst Kundt. Un ragazzo trentaduenne, ex prigioniero politico, il capo dell’organizzazione clandestina di un popolo sottomesso contro alto funzionario del Terzo Reich davanti al quale tremavano i capi di Stato. Rispondendo alle accuse di non aver concordato le azioni dei nazionalisti con le autorità tedesche Bandera assunse tutte le responsabilità e aggiunse: “Voglio sottolineare ancora una volta che nessuno dei miei ordini dipendeva dai decreti o accordi delle autorità tedesche. Annunciando i miei ordini non mi basavo ad alcuna autorità tedesca ma solo al mandato conferitomi dal popolo ucraino”. Fu la seconda volta dopo il 1936 quando Bandera con il suo atteggiamento decisivo si mise davanti alla prospettiva di morte. Poi i tedeschi lo tennero in stato di fermo per “aiutarlo” a cambiare la decisione non pensata, dopodiché lo rinchiusero nel campo di concentramento di Sachsenhausen come punizione per non aver cambiato tale decisione.

Nel 1944 quando la sconfitta tedesca al fronte Orientale divenne evidente i nazisti tentarono di ricominciare i loro giochi con gli ucraini perciò lasciarono in vita Bandera. Lo portarono fuori da Sachsenhausen e lo misero agli arresti in una casa nei pressi di Berlino. Fu appena uscito dal campo di concentramento perciò non aveva nessun informazione riguardante gli eventi al fronte e la situazione in Ucraina. I tedeschi provarono a sfruttare a loro favore questa sua ignoranza dei fatti proponendogli di mettersi a capo del comitato ucraino filotedesco, con la sua presenza rendere importante un altro progetto collaborazionista. Bandera non ci cascò alla provocazione e rinunciò alla possibilità di un fantomatico potere. La sua forza dei principi di nuovo ostacolò al nemico di utilizzare lui e il movimento per realizzare gli interessi altrui.

“Leader autoritario”

 Proprio questa forza dei sani principi e intransigenza delle volte vengono presentate come autoritarismo, ambizioni esagerate e perfino come “tendenze del condottiero”. Per completare l’immagine autoritaria di Bandera alcuni personaggi affermano che lui non accettava i valori democratici né nell’Organizzazione né tantomeno nello Stato. Quanta verità c’è in queste affermazioni? Evidentemente Bandera era una persona ambiziosa, lui credeva al ruolo essenziale nella storia dei personaggi dalla forte volontà, e da quando era bambino si preparava ad una grande missione. Lui si formava nell’epoca quando le tendenze autoritarie dominavano dappertutto, a capo degli Stati c’erano i condottieri, fuhrer e duce. Tuttavia, proprio Bandera guidò l’opposizione che insorse contro un unico capo nell’OUN. Furono proprio lui e i suoi compagni “kraiovyky” ad opporsi alla leadership autoritaria dell’Organizzazione con a capo di Andrii Melnyk. Provid rivoluzionario creato da lui, malgrado gli ampi poteri del capo, fu una squadra dei forti leader. Bandera da leader portò alla leadership Roman Shukhevych, Vasyl Kuk, Roman Kravchuk, Dmytro Hrytsai, Yaroslav Starukh e altri giovani i quali guidarono diverse parti del movimento indipendentista dopo l’incarcerazione di Bandera e assicurarono una lunga ed efficiente lotta in clandestinità.

 I documenti dimostrano che nel vertice di Bandera le decisioni venivano approvate dalla maggioranza dei voti, cioè ogni voto era importante. Proprio questo stile di lavoro lui credeva evidente e necessario. In una delle sue lettere verso l’Ucraina Bandera scrisse: “In ogni vertice che io fondai, in particolare anche nel vertice dei Gruppi esteri dell’OUN esisteva ed esiste tutt’oggi il seguente ordine: tutte le decisioni vengono approvate con la maggioranza dei voti. Ogni voto è equo. Gli affari si decidono dopo aver visionato tutte le opinioni. Ogni membro del vertice ha diritto di presentare alla discussione e decisione qualsiasi affare… Queste sono le basi elementari del funzionamento del vertice e mai abbiamo avuto l’idea di fare diversamente”.

Come ogni leader Bandera voleva veder dominare la propria forza politica, però ciò non fu mai il suo scopo principale. Il principio formulato da Bandera “la vittoria delle nostre idee è la nostra vittoria” si realizzava sulla pratica; il governo formato a giugno del 1941 fu composto dai rappresentanti di diverse forze politiche.

Oggi nella storiografia è diffusa l’affermazione che Bandera non accettò le decisioni approvate durante la III Assemblea dell’OUN perché “essendo incarcerato mancò il processo della maturazione delle tendenze democratiche all’interno dell’Organizzazione”. Quest’affermazione è infondata, in primis perché Bandera mai rinnegò le decisioni di quell’Assemblea, considerando tali decisioni obbligatorie per se stesso e per tutti i membri dell’OUN. E poi, il processo di maturazione delle tendenze democratiche nell’OUN iniziò non nel 1943 ma nel 1940 sotto la leadership proprio di Bandera. Il motto “Libertà ai popoli! Libertà all’uomo!” il quale fa da quintessenza a questo processo fu presentato per la prima volta non nelle decisioni del 1943 ma nel manifesto dell’OUN di dicembre del 1940 in emigrazione e veniva utilizzato nella tipica per l’emigrazione lotta politica. Tra i “principali portavoci della democratizzazione” veniva presentato Mykola Lebid’, una persona sollevata dall’incarico del capo dell’OUN nel 1943 proprio a causa del suo stile autoritario di guidare l’organizzazione. Purtroppo, tanti storici hanno accettato questa affermazione senza aver verificato la sua veridicità nei documenti accessibili.

“Scissionista”

Dall’opposizione politica in emigrazione spunta anche lo stereotipo successivo, quello di scissionista. Alcuni storici affermano che Bandera svolse il ruolo più che altro distruttivo nel movimento indipendentistico che quello positivo, perché al suo nome sarebbero affibbiate due scissioni. “Rovina”, “scissione”, “fratricidio” sono le definizioni che vengono presentati come dei veri archetipi dell’etnia ucraina, come una maledizione di famiglia. In realtà, queste caratteristiche sono tipiche per tutte le etnie senza uno Stato loro le quali, vengono sottoposte alle manipolazioni esterne dei politici e dei servizi speciali, perciò addossarle solo ed esclusivamente all’etnia ucraina è abbastanza scorretto.

Evidentemente, anche l’OUN fu vittima di manipolazioni simili che causarono le scissioni dell’Organizzazione e le colpe per i quali danno a Bandera. Per ora non si trovano i documenti che confermerebbero la cospirazione esterna per dividere l’OUN nel 1940, invece, per quel che riguarda la cosiddetta scissione del 1954 documentiamo chiaramente l’influenza esterna. Ovviamente uno dei motivi della scissione furono anche le incomprensioni personali, però la causa principale furono proprio i documenti falsificati dal MGB e un lungo gioco operativo svolto con gli emigranti ucraini dal nome dell’Ucraina in guerra.

Per rispondere alla domanda se Bandera merita le accuse del scissionismo, è importante valutare le azioni dello stesso Stepan Bandera in queste situazioni critiche. Sia nel 1940, sia nel 1954 vediamo che lui fece tutto il possibile per evitare la scissione: nel primo caso si rivolse diverse volte ad Andrii Melnyk e addirittura fece un viaggio per parlargli personalmente; nel secondo caso addirittura si dimise dal capo dell’Organizzazione pur di salvare l’unità dell’OUN.

Le accuse del scissionismo di Bandera come anche tutti gli altri miti si basano sull’ignoranza dei fatti concreti oppure sull’incapacità di valutarli da una prospettiva più ampia. Ad esempio, la data della scissione tra “banderiti” e “melnykivtsi” per tanti è il 10 febbraio 1940, cioè il giorno della formazione del Vertice rivoluzionario con a capo di Bandera. Mentre in realtà, nei mesi successivi ci furono diversi tentativi di riappacificazione, inoltre i rappresentanti da entrambe le parti lavoravano nello stesso edificio in via Zelena a Cracovia. E solo l’occupazione forzata dell’edificio da parte dei combattenti con a capo di Zynoviy Knysh (più avanti fu uno dei più proficui autori dei “melnykivtsi”) e come conseguenze l’impossibilità dell’accesso dei banderiti ad esso bruciò tutti i ponti per una possibile riappacificazione.

Poi arrivarono gli anni di ostilità e delle accuse reciproche, la più dura fu l’accusa nei confronti dei banderiti di aver assassinato i membri dell’OUN-M (Menykivtsi) Senyk e Stsiborskyi. Questo caso fino ad oggi rimane irrisolto, ma osservandolo dal contesto più ampio possiamo vedere le similitudine con gli eventi del 1957 e 1959, quando gli omicidi di Rebet e Bandera furono presentanti come “fratricidio” nell’ambiente dei nazionalisti ucraini. E solo la confessione sensazionale del killer del KGB Stashynskyi dimostrò i veri esecutori e mandanti dell’attentato.

Per concludere il tema delle scissioni, pronunciandosi in merito alle scissioni nel movimento ucraino i nostri storici parlano solo del suo ruolo distruttivo. Invece, almeno il conflitto del 1940 fu un vero impulso per un ulteriore crescita. Perché al vertice del movimento sono saliti i giovani pieni di energie, con le nuove visioni, pronti all’evoluzione dei propri concetti basilari, le visioni geopolitiche e la metodologia della lotta. Proprio queste persone, chiamate oggi banderiti, portarono il movimento indipendentistico ucraino ad un livello di qualità superiore, trasformandolo in un movimento nazionale. Anche qui vediamo le similitudini: il movimento nazionale ebraico divenne più importante grazie al “scissionista” Zhabotinskiy il quale, uscendo dall’Organizzazione sionistica mondiale creò un nuovo movimento dei sionisti revisionisti.

 “Solo un simbolo”

Lo stereotipo oggi attivamente promosso nella società è che Bandera non può essere l’eroe nazionale in quanto “non partecipò direttamente alla lotta per l’indipendenza”: prima fu incarcerato dai polacchi, poi rinchiuso nel campo di concentramento e poi da emigrante politico non potte influenzare la situazione in Ucraina. “Bandera è solo un simbolo della lotta” – questa è la frase chiave della moderna presentazione di Bandera. Tuttavia, analizzando i fatti storici vediamo il ruolo diretto e a volte anche decisivo nel movimento indipendentistico. Proprio lui incorporò UVO nell’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) completando in questo modo la formazione della struttura dell’Organizzazione stessa durata dal 1929. Proprio lui portò ad un livello superiore l’OUN nella prima metà degli anni 30, e proprio sotto la sua guida l’OUN svolse una serie degli eventi combattivi e propagandistici rendendo così l’Organizzazione popolare non solo in Ucraina ma anche all’estero. La sua attività negli anni 1939-1941 mise le fondamenta per la successiva tappa dello sviluppo del movimento indipendentistico. In quel periodo furono svolti diversi addestramenti militari e organizzativi i quali prepararono il personale per l’estensione dell’esercito insurrezionale. Allo stesso tempo furono sviluppate le importanti idee basi i quali, garantirono il passaggio dell’OUN dall’organizzazione clandestina al movimento indipendentistico nazionale.

Bandera svolse un grande lavoro nel periodo del dopoguerra in emigrazione. Sotto la sua guida la rete dell’OUN si estese praticamente in tutti i Paesi dove abitavano gli ucraini: nell’Europa Occidentale, in America del Sud e del Nord, in Australia. Le associazioni create dall’OUN (Associazione della gioventù ucraina, Organizzazione della difesa delle quattro libertà ucraine, Lega della liberazione dell’Ucraina) difendevano con efficienza i diritti degli ucraini nel mondo. La stampa banderita (“Shliakh peremohy”, “Vyzvolnyi shliakh”, “Homin Ukrainy” e tanti altri diffusi nella diaspora ucraina) conduceva una forte campagna d’informazione raccontando al mondo la verità sull’Ucraina e sul suo popolo.

La leadership di Bandera fu riconosciuta dai capi del movimento indipendentistico nell’Ucraina: Roman Shukhevych lo propose come membro del Bureau della Direzione dell’OUN nel 1945, il programma dell’ideologo chiave del movimento indipendentistico Petro Fedun si intitolava “Chi sono i banderiti e per cosa combattono”, le migliaia dei volantini del movimento terminavano con le parole “Viva Stepan Bandera!”, mentre il noto pittore indipendentista Nil Khasevych fece il suo ritratto firmandolo “All’amico Condottiero”. In Ucraina nelle condizioni della lotta continua nessuno metteva in dubbio la leadership di Bandera. Lui fu riconosciuto persino da quelli che combattevano contro il movimento indipendentistico. Il termine “banderiti” divenne praticamente ufficiale e fu usato nei documenti del partito comunista sovietico e del NKVD – MGB. Il governo sovietico fino alla fine della sua vita lo considerava un nemico pericoloso e perfino decise di eliminarlo nel 1959. Cioè quando ormai il movimento indipendentistico in Ucraina fu soffocato e lo stesso regime cercava di presentare se stesso in modo diverso condannando i crimini di Stalin, Stepan Bandera fu un reale e pericoloso attivista del movimento ucraino. Con ciò, divenne il suo simbolo.

Diventare un simbolo quando sei ancora in vita è un bel fardello pesante da portare senza inciampare, è una vera sfida del destino alla quale non hanno saputo rispondere le migliaia di coloro che furono considerati eroi. A noi sono arrivate le righe scritte da Bandera stesso, tra le quali espresse i suoi pensieri e turbamenti: “Devo dirvi francamente che faccio molta fatica. Mi opprime il fatto che con il mio nome sono legati i valori principali della nostra lotta, acquisiti con il lavoro, con le numerose vittime e con il sangue dei migliori Amici. Mi sento indegno di fare da centro di quei valori del movimento indipendentistico ucraino. Sotto quel peso morale un uomo debole vede tutto, vede quanto poco ha contribuito per lo scopo comune, quant’è grande la differenza tra il proprio contributo, la propria capacità, il proprio valore e quel che deve rappresentare e guidare. Rappresentazione non è per me, non ho alcune disposizioni per questo e mi sento a disagio in questo ruolo. Lo scopo della mia vita fino a questo momento era la lotta, così deve rimanere. Non posso rappresentare la lotta quando non vi partecipo. Non mi presto per un rappresentante “dietro il vetro”.”

Tuttavia, dal destino non si sfugge: Stepan Bandera non riuscì mai a ritornare sul campo di battaglia e rimase costretto fino alla fine dei propri giorni a portare la croce di essere il simbolo. Il cognome Bandera significa bandiera e diventò la missione della sua vita.

In Ucraina oggi pubblicano tanti articoli e libri dedicati a Stepan Bandera. Gli autori  raccontano i fatti principali della sua vita, l’attività nell’organizzazione clandestina, la lotta, le prigionie, i campi di concentramento, la sfida aperta contro gli occupanti, la vita personale sacrificata, la famiglia repressa, e infine l’assassinio. Sembra che tutto sia chiaro e che non esista un popolo che rinuncerebbe ad un simile eroe. Tuttavia, ancora troppo spesso agli autori ucraini manca il coraggio di fare le conclusioni dei fatti presenti. Ma io sono convinto che arriverà l’ora quando gli autori, i lettori e tutti gli altri ucraini troveranno le forze per chiamare un eroe eroe. Allora Bandera diventerebbe di nuovo un simbolo, il simbolo di quello che gli ucraini non dovranno più guardare gli altri formulando la propria visione del passato o del futuro.

Fonte: Volodymyr Viatrovych "Ucraina: storia classificata", Kharkiv 2020 - pp.358-368

Traduzione: Dana Kuchmash